Ci sono stati più di 10mila morti nel Mediterraneo dal 2014, secondo dati Onu. La tragedia dei rifugiati, che scappano dalle guerre o per ragioni economiche, è un avvenimento epocale, non un fatto transitorio. La Commissione europea, messa di fronte al dramma che non può avere risposte nazionali ma che genera paura negli stati membri, cerca una soluzione. L’ultima proposta è stata illustrata ieri di fronte all’Europarlamento. Si tratta di un «nuovo quadro di partnership» da proporre agli stati di origine dei migranti, ha spiegato il vice-presidente della Commissione, Frans Timmermans, «cominciando da un primo gruppo», ha precisato, per arrivare a concludere dei «patti adattati alla situazione di ogni paese». Il «punto di partenza», per Timmermans, è il Migration Compact presentato dall’Italia e che sarà sul tavolo del Consiglio europeo di fine giugno. Bruxelles spera di poter dotare questo «patto» di 62 miliardi di euro: ma questa cifra sarebbe la risultante di un «effetto leva», a partire da un molto più modesto finanziamento di 3,1 miliardi provenienti dai fondi comunitari, a cui dovrebbe affiancarsi una cifra analoga versata dai paesi membri. L’obiettivo del moltiplicatore dell’effetto leva è «incentivare gli investimenti privati».

La Ue avanza con i piedi di piombo su un terreno sconosciuto. Per la prima volta in un documento comunitario viene stabilito un chiaro legame tra migrazione e cooperazione, con il ricorso anche a «incentivi negativi»: la Commissione propone di limitare gli aiuti e i vantaggi economici ai paesi che non contengono i flussi di migrazione. Un do ut des, che però solleva molte perplessità tra i giuristi, che si chiedono se sia legale stabilire degli accordi che pongono come clausola il freno alla migrazione. La Ue vuole «dare un maggiore appoggio ai paesi che fanno maggiori sforzi» nel limitare le partenze e nel riprendersi i propri cittadini emigrati illegalmente, anche facendo ricorso agli incentivi negativi. Ormai, tutti gli accordi che verranno firmati dalla Ue con dei paesi terzi prenderanno in considerazione la questione delle migrazioni, legata a tutti gli aspetti economici, come energia, investimenti o cambiamento climatico. Finora, gli accordi includevano riferimenti al rispetto dei diritti umani, dei diritti del lavoro o allo sviluppo sostenibile.

Per la Ue il problema più urgente del momento è la Libia. «Decine di migliaia di persone cercano il modo per entrare nella Ue» dice l’Onu. Mrs. Pesc, Federica Mogherini, ha chiesto lunedì all’Onu di autorizzare l’operazione europea Sophia a fare dei controlli sulle imbarcazioni al largo della Libia, per verificare che venga rispettato l’embargo sulle armi. Ieri, Mogherini ha spiegato che la Ue cerca un «nuovo approccio», che va dal salvataggio in mare dei profughi, alla lotta ai passeurs, al sostegno ai paesi che accolgono rifugiati, fino alla conclusione di «patti» favorevoli alla crescita dei paesi partner. La Ue cerca la strada per un approccio «più coordinato, più sistematico, più strutturato» per far fronte alla sfida. L’accordo concluso con la Turchia, criticato da più parti e sempre sottoposto al ricatto di Erdogan, viene comunque considerato positivo a Bruxelles, perché per il momento sembra aver messo sotto controllo gli sbarchi in Grecia, obiettivo principe degli europei. «Patti» precisi, per la Commisisone, dovranno essere conclusi, dopo la Libia, con Tunisia, Libano e Gordania. Poi seguono Niger, Nigeria, Mali, Senegal, Etiopia. «Vogliamo convincere i paesi d’origine che i problemi di immigrazione e di sviluppo sono legati, da loro e da noi», spiega Timmermans.

Il «patto» proposto dalla Commissione contiene anche l’apertura di «vie legali» all’immigrazione in Europa. Finora, avevamo «il sistema di Blue Card», spiega Timmermans in un’intervista a Le Monde, «utilizzato soprattutto dalla Germania per persone molto qualificate. Dobbiamo estenderlo ad altri stati», accanto a una conferma e ridefinizione del «sistema di reinstallazione di rifugiati in Europa», che non sta funzionando per nulla. Bisognerà aspettare l’autunno per avere maggiori dettagli su questo punto, su cui la proposta della Commissione sorvola soltanto, viste le forti reticenze dei paesi membri. La questione dei finanziamenti resta una piaga aperta: nel novembre 2015 è stato varato un Fondo per l’Africa, che avrebbe dovuto essere dotato di 1,8 miliardi, ma finora ne sono stati stanziati solo 80 milioni.