Sicuramente l’ultimo congresso sarà ricordato come una pietra miliare nella storia dell’Arci. Ho avuto quella che considero, comunque, una fortuna, la possibilità di parteciparvi come delegato, con una percezione diversa da quella che emerge da due dei riferimenti oggi presenti sul “nostro” giornale.

Sarà che sono un inguaribile ottimista, sarà perchè ho visto altri soggetti scindersi e salutarsi per molto meno, ma non la vedrei così tragica come a tratti mi è parso scorgere nei commenti e nei rimandi. Come richiamato sul manifesto ci sono, e non credo sia una cosa di secondo piano, i 60 ordini del giorno approvati quasi tutti all’unanimità che rappresentano il “campo” entro cui l’Arci sta, rimane e continua a camminare. Restano le votazioni sullo Statuto.

E’ vero che si è arrivati ad un irrigidimento che ha portato a una polarizzazione sui due candidati presidente, ma di posizioni ce ne erano almeno tre e alla fine la terza posizione ha prevalso.Molti delegati avevano la voglia di ricomporre, di trovare la via mediana, anche perchè avendo impostato il congresso su un documento unitario e non esprimendo in modo palese due posizioni in contrasto o alternative, la stragrande maggioranza dei delegati non è arrivata “preparata” al congresso e non ha aiutato l’atteggiament dei due candidati a presidente durante il Congresso, quasi fino alla fine (per poi rendersi conto e frenare). Altri avrebbero premuto l’acceleratore, noi abbiamo frenato prima di andare a sbattere contro il muro o meglio prima di metterci in una situazione difficile da gestire. La paura di litigare ha portato a scaramucce latenti rimandate al Congresso e confinate nella commissione elettorale.

La grandezza non sta nel non commettere errori, ma nel riconoscerli e nel fermarsi in tempo, nel prendersi altro tempo, nel trarre gli insegnamenti necessari per proseguire sulla strada, sempre in una ricerca “eretica” del restare “dalla parte buona della vita”. Possiamo definire allora il Congresso un fallimento? Lo vedremo e lo potremo dire il 30 giugno. Forse negli ultimi 15 anni ci si è rilassati nell’arrivare con una linea definita e con un candidato presidente che “garantiva” le due anime che da diversi anni convivono, non è stato così questa volta e dovevamo vivere questa esperienza collettiva per mettere nella nostra “sacca da viandante” sul percorso che stiamo facendo anche questa esperienza.

L’Arci è migliore di quella che a tratti si è vista nell’ultimo Congresso, come sono migliori di quanto sono apparsi i due candidati (Chiavacci e Miraglia), abbiamo tre mesi per dimostrarlo a noi, alla sinistra e all’Italia. Lo dobbiamo ai partigiani, ai lavoratori, ai compagni e alle compagne che dalle prime case del popolo, passando per l’antimafia sociale, il Social Forum di Genova, i referendum per la difesa dei beni comuni e l’ultima manifestazione del 12 ottobre, La Via Maestra, l’hanno costruita e portata dov’è. Mettendo da parte l’orgoglio e facendo prevalere il buon senso potremmo essere d’esempio per la sinistra anche per questo.

*Delegato dell’Abruzzo