«È una storia semplice: un bambino sta male, e il suo amico lo deve aiutare» dice Ferit Karahan, il regista di Brother’s Keeper. I due bambini, Yusuf e Memo, sono studenti di un collegio nei territori curdi dell’Anatolia, una struttura autoritaria, isolata in mezzo a neve e montagne, dove trovare aiuto – e anche solo capire perché Memo si è sentito male – è un’impresa quasi impossibile. «All’inizio degli anni Novanta ho passato sei anni in un collegio come quello di Brother’s Keeper», racconta Karahan. «Cerco di scrivere la sceneggiatura del film dal 2009, ma all’epoca non riuscivo a mettere abbastanza distanza tra di me e quell’esperienza dolorosa. Ho ripreso lo script nel 2014, mentre infuriava la guerra con l’Isis e girare era difficile. Nel 2016 sono anche riprese le aperte ostilità con il Pkk: la situazione era speculare a quella che avevo vissuto da bambino, e a quel punto mi ci sono voluti solo 7 giorni a scrivere la sceneggiatura».

Dai professori al preside e gli alunni, tutti nel film mentono, e cercano di scaricare le proprie responsabilità su qualcun altro.
L’autorità mette molta pressione sulle persone, e mentire diventa uno strumento di sopravvivenza: un meccanismo che capisco molto bene. E più si fa pressione più le bugie si moltiplicano, come una valanga. Il mio intento era fare un film incentrato proprio sulle menzogne e la paura – che fra loro sono strettamente connesse – in una storia che riguardasse il mio Paese, dove paura e bugie sono alla base dei rapporti fra tutti i cittadini. Ma non perché si tratti necessariamente di persone «cattive»: come nel film, le relazioni sono spesso basate sulle menzogne perché sono l’unico modo per proteggersi dal sistema. La paura era il nostro sentimento costante in collegio: verso gli insegnanti, le nostre famiglie, i nostri stessi amici. Era una lotta per la sopravvivenza.

«Brother’s Keeper» affronta anche la situazione del popolo curdo, privato della propria identità e della propria stessa lingua: ai bambini nel collegio non è possibile comunicare in curdo.
Il sistema educativo insegna agli studenti l’obbedienza, a conformarsi al sistema – non è consentito essere creativi. Ma per un bambino curdo non andare a scuola significa avere poche alternative: fare l’agricoltore, il pastore… È come essere una mosca imprigionata in una ragnatela: può strapparsi le ali e fuggire o venire mangiata dal ragno. Io stesso ho vissuto questa esperienza – se non fossi andato a scuola non avrei potuto fare quello che faccio adesso. Ma nel collegio ho dovuto accettare di venire «assimilato»: stando lì ho perfino dimenticato la mia lingua – le poche volte che potevo tornare a casa riuscivo a malapena a comunicare con mia madre.

Yusuf riceve pressioni anche dalla sua famiglia quando cerca conforto dalla madre al telefono.
La madre gli dice «scordati del tuo amico, pensa alle cose importanti». È la battuta da cui è partito tutto il film, ma non è mia: l’ha scritta un poeta rumeno all’epoca di Ceausescu, quando la situazione era molto simile a quella che c’è oggi in Turchia. Il clima dittatoriale influisce sui rapporti umani: ancora una volta un’atmosfera di paura grazie alla quale un sistema fascista può anche spezzare un’amicizia.

Il film è popolato quasi esclusivamente da uomini.
È anche una critica del mondo maschile, in cui prevalgono queste dinamiche «sporche». C’è un momento in cui un bimbo ha freddo e una insegnante gli dà il suo cappotto: è l’unico gesto d’amore disinteressato del film.

Di recente a Istanbul sono stati arrestati decine di studenti per aver protestato contro la nomina imposta da Erdogan del rettore dell’Università del Bosforo.
Il rettore non è stato eletto all’interno dell’università, come avrebbe dovuto essere, è una cosa senza senso. Quelli che sono scesi in piazza a protestare sono dei ragazzi intelligenti, degli studenti, giovani, che si battono per i loro giusti diritti. Trovo assurdo che una parte della politica del nostro Paese li dipinga come dei terroristi – come si fa a raccontare una cosa così evidentemente falsa? Se il protagonista di Brother’s Keeper fosse stato un ragazzo di questa università credo che sarei arrivato a fare lo stesso film: paura, pressioni, menzogne.