Cocomero, anguria, melone d’acqua: tanti modi per indicare il Citrullus lanatus. Si tratta di una cucurbitacea, la stessa famiglia a cui appartengono melone, cetriolo, zucchina, zucca. La pianta, originaria dell’Africa tropicale, dove ancora sono presenti numerose varietà spontanee, era coltivata nell’antico Egitto.

IN ITALIA È STATA INTRODOTTA dagli arabi partire dal XII secolo. Il nome scientifico della pianta mette d’accordo i botanici, non certo coloro che utilizzano i nomi comuni per denominarla. Neanche l’Accademia della Crusca è riuscita a individuare la forma più corretta per indicare questo frutto. Se la denominazione «anguria», dal greco angurion, prevale nettamente nelle regioni del Nord e quella di «cocomero», dal latino citrullus, si afferma con decisione nell’Italia centrale, da Napoli in giù «melone d’acqua», di origine francese, sbaraglia il campo. Sta di fatto che nessun altro frutto si propone con tanta forza quando l’estate prende il sopravvento. Frida Kalho in Viva la vida e Renato Guttuso in Angurie lo rappresentano in tutta la sua forza dirompente. Formato per il 95% da acqua, è il frutto «mangia e bevi» per eccellenza. Sono ben 1200 le varietà di Citrullus lanatus, ma quelle più coltivate sono una cinquantina, in una logica di uniformità produttiva che va a intaccare gravemente la biodiversità.
L’ITALIA È UNO DEI PRINCIPALI produttori europei e ogni anno 100 milioni di cocomeri vengono raccolti nelle campagne italiane, per un totale di 500 mila tonnellate, per l’80% in pieno campo e per il 20% in serra. Le logiche di mercato hanno favorito l’affermazione di varietà ibride che hanno una maggiore produttività, ma che sono più esigenti per quanto riguarda i tipi di terreno e le cure colturali. La diffusione degli ibridi e la corsa alle varietà precoci stanno facendo scomparire molte varietà locali italiane, che sono il risultato di un processo di adattamento durato centinaia di anni.

LA GIGANTE DI FONTARRONCO (Arezzo), la gigante di Castellammare (Napoli), la rossa di Calabria, la romagnola Bagnocavallo, l’anguria di Viadena (Mantova), il cocomero di Faenza, sono alcune delle varietà storiche più a rischio. Si punta su varietà più produttive e più precoci, idonee ad una coltura forzata, per ridurre l’intervallo fioritura-maturazione e arrivare sul mercato in anticipo sull’estate. Gli ibridi, che vengono sfornati in continuazione nei laboratori di tutto il mondo, hanno portato alla produzione di frutti con caratteristiche molto diverse per forma, dimensione e colore.

OLTRE AL COCOMERO A POLPA ROSSA, esistono altre varietà cromatiche: bianco, giallo, arancio. Si tratta di vere e proprie stranezze agronomiche che niente hanno a che fare con la biodiversità. La forma tonda e di piccole dimensioni sta guadagnando terreno su quella tradizionale, ovale e allungata di grandi dimensioni. I mutamenti nella composizione familiare spingono produttori e grande distribuzione a proporre frutti che possono essere trasportati con facilità e consumati velocemente. Meno frutti di grandi dimensioni (15-20 kg) e più frutti dalle dimensioni contenute (1-2 kg) e senza semi. La «sugar baby», ibrido di origine americana, di forma tonda e di piccole dimensioni, è sempre più coltivata anche in Italia. Ma i cocomeri sono frutti che possono raggiungere grandi dimensioni.

IL RECORD APPARTIENE AD UN AGRICOLTORE del Tennessee (USA) che ha ottenuto nel 2013 un frutto che pesava 159 kg. La Cina detiene il primato assoluto, producendo il 50% del totale mondiale. E in Cina, a Beijing, si trova il Museo del cocomero, in cui si ripercorre la storia di questo frutto, i metodi di coltivazione, con installazioni di cocomeri giganti di cera e poesie per celebrarlo. Gli altri paesi che hanno le maggiori produzioni sono Turchia, Iran, Brasile, Egitto. Negli ultimi anni il Brasile, che dispone di estese superfici e abbondanti risorse idriche, è riuscito a triplicare la produzione, rifornendo l’Europa di cocomeri nel periodo che va da ottobre a febbraio. In Europa è la Spagna a detenere il record di produzione con un milione di tonnellate annue. La coltivazione del cocomero è presente in tutte le aree della fascia tropicale e temperata-calda del pianeta, ma i cambiamenti climatici stanno mutando la geografia della pianta.

LE CONDIZIONI DI SICCITÀ che coinvolgono aree sempre più estese del pianeta, spingono la sua coltivazione sempre più verso nord, alla disperata ricerca di acqua. Perché il cocomero, pur richiedendo una esposizione diretta al sole e una temperatura superiore ai 25 gradi, per maturare ha bisogno di tanta acqua. Sono necessari, inoltre, numerosi interventi colturali, dal controllo delle erbe infestanti, alla rotazione dei frutti per favorire una maturazione uniforme. E tutto viene fatto a mano, compresa la raccolta.

L’ANGURIA DEVE ESSERE RACCOLTA nel momento in cui matura. Una raccolta anticipata blocca la maturazione, mentre un ritardo determina un aumento del grado zuccherino con la perdita delle qualità organolettiche. Le particolari caratteristiche del frutto impongono una raccolta concentrata nel tempo e determinano condizioni estremamente variabili per quanto riguarda l’andamento dei prezzi. La campagna delle angurie si apre e si chiude velocemente e quello che non si raccoglie rimane a marcire nei campi. Dopo la raccolta le angurie si conservano solamente per un paio di settimane. La produzione è destinata quasi esclusivamente al consumo fresco e solo una quota molto piccola viene destinata alla trasformazione. IL Lazio è diventata la regione in cui si registra la produzione maggiore.

LA PROVINCIA DI LATINA E L’AGRO PONTINO sono diventate il cuore produttivo dei cocomeri italiani. Ma questa esplosione produttiva si accompagna a gravi fenomeni di sfruttamento dei lavoratori. Luglio segna l’inizio della raccolta delle angurie coltivate in pieno campo. Nelle aree di produzione di Lazio, Campania, Puglia, Lombardia e Sicilia tutto è pronto.