Un eunuco, un indovino, un assassino e un medico: sono i protagonisti di Palle imperiali (Orientalia editrice, pp.156, euro 14, traduzione, postfazione e note di Lavinia Benedetti), raccolta di racconti del cinese Feng Tang (realizzata ad hoc per il pubblico italiano con il parere dell’autore). Palle imperiali è una collazione che consente, per la prima volta nel nostro paese, di leggere il tratto frammentario, postmoderno di questo scrittore classe 1971, noto in Cina per le sue opere «cittadine» proiettate nell’esplorazione di quell’abisso sentimentale cinese formatosi, o disintegratosi, durante i grandi cambiamenti storici avvenuti nel corso degli anni Novanta.
Laureato in medicina e poi in economia, manager di grandi aziende e perfomer, Feng Tang è un autore prolifico e di successo (alcune sue opere sono diventate serie tv molto popolari in Cina) e di polemiche non da poco tanto contro l’enfant prodige della letteratura cinese (Han Han) quanto in difesa di una sua traduzione – accusata di eccessive licenze – dell’indiano Tagore (Feng Tang a questo proposito scrisse perfino una sua accorata spiegazione sul Guardian).

LA CARATTERISTICA di Palle imperiali è la diversità dei racconti (tesi a dare un’idea della sua produzione a un pubblico italiano) che frammento dopo frammento compongono gli universi letterari e umani di Feng Tang. Il primo racconto, che dà il titolo alla raccolta, racconta la storia di una stirpe di eunuchi, ricalcando le note storiche di Sima Qian – anch’egli eunuco – considerato «lo storico» cinese per eccellenza (145 a.C. – 86 a. C.). Il suo Shiji è ancora oggi uno dei testi più preziosi per scorgere la filigrana dei personaggi e degli eventi che animarono il periodo dinastico degli Han e per il suo stile che Feng Tang «calca».
Come scrive Lavinia Benedetti nella postfazione, l’influenza della tradizione è particolarmente evidente nell’opera di Feng Tang: i racconti «non a caso iniziano tutti con un riferimento storico, a guardare bene si tratta di biografie immaginarie, costruite sulla falsariga delle ’biografie’ di Sima Qian». Eroi inventati «che sembrano attingere dal quotidiano di un tempo lontano e che, seppure privi di valore documentaristico si muovono sullo sfondo di accadimenti reali».

QUESTA COMMISTIONE, di citazioni colte e sproloqui in slang, di spazio, di tempo, di realtà e immaginazione, è la vera cifra di Feng Tang, amante delle miniature letterarie (come non pensare al celebre Vite brevi di uomini eminenti di John Aubrey) e a tutti gli effetti postmoderno: benché lo spazio e il tempo vengano negati, rinnegati o ricreati in quanto già preda del mercato globale, Feng Tang – che di questa frammentazione antropologica è figlio, testimone e tutto sommato il risultato – sceglie la scomposizione utilizzando la tradizione, proprio come fece Thomas Pynchon in Mason & Dixon, il cui tono ricorda la scrittura inglese del ’700. Anche Feng Tang, alla fine, cerca di indagare percorsi umani (fatti di astuzia, potere, inganno, passioni e violenza) che diventano ben presto labirinti da cui pare impossibile trovare una via di uscita.