«Lo stato di agitazione permanente è appena cominciato», è quanto si legge nel documento di convocazione diffuso da Non Una Di Meno per la manifestazione nazionale di sabato 24 novembre a cui seguirà, il giorno dopo, l’assemblea. Che la marea femminista non si sia mai placata è un dato inoppugnabile: vi abbiamo assistito il 10 novembre, l’8 marzo scorso così come – nei quasi tre anni trascorsi – in piazze, cortei cittadini, reti regionali, flash mob e azioni singole concertate a partire dalle varie realtà territoriali. È una grande e diffusa tempesta quella che Non Una Di Meno porterà a Roma sabato, nessun esito – le donne e le soggettività libere non hanno ancora finito di ribadire quello che desiderano – e nessun inizio – non c’è pretesa di azzeramento e fondazione dal nulla. È invece nel divenire del movimento delle donne e del femminismo che l’invito alla manifestazione organizzata da Nudm affonda le sue pratiche. Insieme a quelle dei movimenti, insieme a quelle di chi avverte l’urgenza di un presente al collasso riguardo, in particolare, un tema: la violenza maschile contro le donne, a cui si aggiunge quella «di genere e le politiche patriarcali e razziste del governo».

Ciò che è riconosciuto in tutto il mondo come un incontro pubblico e di lotta per l’eliminazione della violenza contro le donne (il 25 novembre) ha assunto diverse declinazioni che ne hanno rafforzato il senso e segnato la differenza, secondo i contesti materiali di espressione. Chiaro come Non Una Di Meno tenga ad articolare la violenza maschile contro le donne all’interno di una cornice più grande e, al contempo, specifica di una situazione di sfascio politico tutta italiana. Se infatti è vero che la violenza maschile nasce e cresce perlopiù all’interno delle mura domestiche, è altrettanto vero che – più o meno subdolamente – trattandosi di un fenomeno non emergenziale ma strutturale, anche alcuni provvedimenti ne facilitino la circolazione e l’attecchimento. Nel caso del disegno di legge Pillon, nel caso delle proposte contro la legge 194, la connivenza con la violenza contro le donne è deliberata, giustificata, legittimata e sostenuta raccontandola – ovviamente – come la salvaguardia della famiglia tradizionale e della vita a essa correlata. È contro questa visione claustrofobica del mondo, che finisce nell’ombelico puzzolente di chi vorrebbe disciplinare corpi e affettività, che si scenderà in piazza sabato.

Grazie al lavoro di Non Una Di Meno e grazie anche a ciò a cui le donne non intendono rinunciare – né in Italia né nel mondo: una politica generativa, una affermazione gioiosa della propria libertà di esserci e di contare, un secco no alla precarietà ed economica entro cui vorrebbero ulteriormente sfibrare le singole esistenze.

Accanto a questa cellula malata che è da sempre la famiglia patriarcale – e di cui tanto si vanta il senatore Pillon – vi sono in fila tutte le detonazioni che sono state messe in atto – principalmente dal femminismo – per liberare i desideri e i corpi dalla normatività e ricondurli alla insorgenza esperienziale. Non da oggi, sia chiaro, ma da decenni, grazie alla generosità che le pratiche politiche femministe insegnano. In Italia e nelle strade del mondo. Che la politica delle donne non possa che definirsi antifascista e antirazzista conclude il ragionamento sotteso al documento di Nudm, poiché se è generativa quella politica non può che essere rivolta al vivente – ben diversa dalla «vita» di cui si riempiono la bocca i pro-life e i loro accoliti.

La recente nomina di Simone Pillon alla vicepresidenza della commissione parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza (così come quella di Stefania Pucciarelli alla commissione Diritti Umani) non dovrebbe fare sgomentare, è una strategia precisa tesa a rafforzare il dispositivo coercitivo (contro le donne, i bambini e i migranti). Dovrebbe invece sortire una ancora più accesa coscienza della lotta che aspetta tutte e tutti. Non solo sabato.