È stato un successo, indiscutibile. Il movimento femminista spagnolo si è preso la piazza ancora una volta. Solo 20 mesi dopo la grande manifestazione il treno della libertà, per bloccare la riforma della legge sull’aborto, le donne sono prepotentemente tornate a dire la loro, questa volta contro la violenza machista. Senza l’appoggio dei grossi mezzi di comunicazione, senza il coinvolgimento di facce conosciute. Una marcia unitaria costruita dal basso, dai 400 collettivi femministi coinvolti, con un lavoro capillare, per dire no alla violenza machista e per chiedere a partiti politici e futuri governanti che la lotta contro il terrorismo machista sia una questione di Stato, perché le donne sono un soggetto politico e devono essere trattate come tale.

Concentrazione moltitudinaria a Madrid, replica in molte città di Spagna, un filo di rivolta che è sceso fino all’oceano atlantico, alle Canarie. Concentrazioni anche a Bristol, Dublino, Milano, Strasburgo, Parigi, Stoccarda, Vienna. Tantissime donne, ma anche uomini, per protestare contro quei tagli che hanno ridotto all’osso i servizi di assistenza alle donne in situazioni di violenza, perché la prevenzione sia una politica prioritaria che includa un sistema educativo non sessista, basato sull’uguaglianza.

Finalmente nella stagnante e noiosa campagna elettorale irrompono i durissimi problemi che ogni giorno le persone in Spagna devono affrontare. A un mese dal voto che deciderà se la Spagna cambierà o continuerà sulla pessima strada fin qui seguita, la riuscita della manifestazione è una vera e propria boccata di ossigeno, per le forze che vogliono cambiare.

Sicuramente offre una opportunità a Podemos di ribaltare i dati deludenti dell’ultimo sondaggio effettuato in ottobre. Oggi chi si dichiara intenzionato a votare Podemos è solo un 10%, percentuale che, se confermata dal voto del 20 dicembre, lo condannerebbe all’irrilevanza. I numeri premiano invece quei partiti (29% al Pp, 26% al Psoe, 17% a Ciudadanos) che, pur con toni e accentuazioni diverse, vogliono che tutto prosegua così, svolgendo ordini che arrivano da Bruxelles e da Berlino, che, a un mese dal voto, sono puntualmente e minacciosamente arrivati con la richiesta, a chi vincerà le elezioni, di nuovi tagli e sacrifici per 9000 milioni di euro. Dunque Podemos da febbraio ad oggi ha perso quasi 18 punti.

Molteplici le cause di questo crollo di consenso, quasi tutte riconducibili alla perdita di fiducia sulle reali possibilità del cambiamento. È evidente che senza un clima sociale di diffusa opposizione a ingiustizie e soprusi, senza una altrettanto diffusa fiducia nelle possibilità che ribellarsi può avere successo, il progetto, per cui è nato Podemos, di portare al governo del paese l’idea, maturata quattro anni fa nelle piazze spagnole, di una Spagna diversa in una diversa Europa, non ha alcuna possibilità di vincere, soprattutto a livello elettorale.

Ha sicuramente e negativamente pesato sulla voglia di cambiamento degli spagnoli, l’esito che ha avuto il disperato tentativo greco di sfidare l’Europa liberista. Iglesias uguale a Tsipras è stato il messaggio lanciato dal Pp, ma anche dal Psoe e da Ciudadanos. Inoltre la perdita di consensi del partito di Iglesias difficilmente si fermerà se al centro dello scontro elettorale rimarrà la questione dell’indipendenza della Catalogna, che rischia di oscurare la dura situazione sociale in cui versa il paese. Questo rischio c’è dopo l’approvazione, lunedì scorso, della dichiarazione di indipendenza da parte del parlamento catalano. Proprio la polarizzazione «indipendenza sì indipendenza no», ha già ampiamente dimostrato, nelle elezioni catalane, le difficoltà di Podemos e la centralità di Ciudadanos.

La manifestazione femminista del 7N, prova a scardinare il clima di rassegnazione che si è creato, ridando centralità ai problemi sociali, riaprendo la possibilità che, il prossimo 20 dicembre, il voto premi il cambiamento e non la continuità.

Negli ultimi sondaggi il 45% degli spagnoli è ancora indeciso o manifesta l’intenzione di astenersi. Dare continuità a manifestazioni come quella delle donne garantirebbe di recuperare una parte dei loro voti per costruire il cambiamento del paese.

Certo riuscire a dare un seguito alla protesta non è semplice, soprattutto più difficile sarà estenderla all’insieme dei problemi sociali. Per Podemos è però una strada obbligata, difficile, ma possibile proprio perché la Spagna oggi è sommersa da una crisi economica profonda, con quasi cinque milioni di disoccupati e con oltre quattro milioni di spagnoli che vivono con meno di 1.000 euro al mese.