L’ultima delle sorelle Mirabal, Dedé, è morta a febbraio in una clinica di Santo Domingo. Aveva 88 anni. Era la seconda di quattro. Le altre tre, Patria, Minerva e María Teresa, vennero assassinate dalla polizia segreta del dittatore Rafael Trujillo (1930-’61), il 25 novembre del 1960. Rientravano dalla visita in carcere ai propri mariti, prigionieri nella Fortezza di San Felipe, 215 km a nord della capitale dominicana. Furono torturate e uccise a bastonate e strangolate, e poi gettate in precipizio a bordo della loro auto, per far credere a un incidente. Da allora, Dedé aveva aggiunto ai suoi figli anche quelli delle sorelle, diventate un simbolo della lotta contro la violenza sulle donne. Ogni anno, il 25 novembre si ricorda il loro sacrificio e si fa la conta delle donne uccise nei cinque continenti. La Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza di genere è stata proposta nell’81 durante l’Incontro femminista latinoamericano e dei Caraibi e poi istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni unite, il 17 dicembre del 1999. Sia l’Onu che la Convenzione interamericana per prevenire, sanzionare e sradicare la violenza contro la donna, (di Belem do Para, l’anno dopo), con la definizione di violenza di genere hanno riconosciuto che i fattori di rischio, le conseguenze e le risposte alla violenza contro le donne sono determinate in gran parte dalla condizione sociale, economica e giuridica subordinata che vivono in molte situazioni.

Maltrattamenti e stupri sono un fenomeno diffuso e trasversale che però oggi mette in primo piano i paesi più avanzati dove le donne lavorano. Una ricerca dell’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali ha evidenziato che 62 milioni di donne in Europa (pari al 33% della popolazione femminile) hanno subito violenza. Il vergognoso primato va ai paesi in cui il tasso di occupazione femminile è più elevato: Danimarca, Finlandia, Svezia e Olanda. Violenza di genere come indicatore della crisi di ruolo che attraversa il patriarcato. Emergono poi le cifre della pedofilia. Risulta che il 12% dei 21 milioni di donne europee ha subito violenza sessuale da parte di un adulto prima dei 15 anni, prevalentemente da un famigliare o un amico. Olanda, Francia, Regno Unito, Svezia e Lussemburgo guidano – in ordine – la classifica. A seguire, Italia e Spagna (11%) e in fondo Portogallo, Bulgaria (3%), Croazia e Romania (rispettivamente 2 e 1%).

In Italia, secondo dati dell’Istat e del dipartimento Pari opportunità, tra il 2009 e il 2014 la percentuale delle donne fra i 16 e i 70 anni che ha subito violenza fisica o sessuale almeno una volta nella vita arriva al 31,5%. Pari a circa 6 milioni e 788mila persone, una donna su tre. Dati inquietanti ma certamente al ribasso: le denunce che arrivano ai centri antiviolenza o alla polizia non rispecchiano l’intera realtà. E le reti di donne che lavorano sul territorio lamentano la poca attenzione del governo alla promozione dei Centri antiviolenza.

Nel continente africano, gli abusi sulle minori sono molteplici: dalle bambine di strada nella Repubblica democratica in Congo, alle vittime di violenze domestiche in Sudafrica o alle mutilazioni genitali in Costa d’Avorio. Ma restano sempre poco denunciati. Il corpo femminile è territorio di scontro e bottino di guerra nel ritorno di visioni arcaiche che squassano il Medioriente e l’Africa: bambine decapitate o usate come bombe, violentate e asservite dal Califfato aumentano le cifre dell’orrore.

In India, stupri e violenze hanno lasciato una scia di sangue nel corso dell’anno. Il rapporto pubblicato dal National Crime Records Bureau per il 2013 (il più recente monitoraggio governativo) mostra che la maggioranza delle aggressioni è avvenuta a New Dehli e il numero è in aumento da cinque anni: dal 9,2% di tutti i crimini commessi nel 2009, all’11,2% di quelli commessi nel 2013. Il Madhya Pradesh, al centro dell’India, registra il record di denunce per stupro, e il Bengala Occidentale (a Est) ha quello della schiavitù sessuale. Nell’Uttar Pradesh (Nord), lo stato più popolato, si è registrato il maggior numero di sequestri e di assassinii legati alla dote. Il rapporto mostra che il 70% delle violenze sulle donne ha luogo nelle 53 città più grandi. Le città a forte componente di immigrati sono quelle più colpite, come nel caso di New Delhi. Nelle zone rurali la situazione è più occultata ma altrettanto drammatica.

«Non una di meno», gridano le donne argentine. «Se toccano una, toccano tutte», manifestano le uruguayane. L’anno scorso, le cifre fornite dalla Cepal sul femminicidio mostrano che nel continente la violenza di genere è sempre un problema bruciante. Secondo le organizzazioni per i diritti umani, in Argentina muore una donna ogni 30 ore a causa della violenza dei maschi. Dal 2012, sono state aumentate le pene per il femminicidio. Le donne chiedono, però, che la tematica sia inclusa nei contenuti educativi a tutti i livelli Ma con il ritorno della destra, la prospettiva si allontana. In Uruguay, per il 25 novembre il governo dovrebbe presentare un progetto per caratterizzare come delitto il femminicidio. Una legge simile è già stata approvata a marzo in Brasile. «Sradicare il maschilismo è compito di tutti», manifestano le giovani comuniste cilene per spingere il parlamento a discutere la legge sulla depenalizzazione dell’aborto.
Dal 2007, la normativa venezuelana protegge le donne da 19 tipologie di violenza tra cui la violenza economica e patrimoniale esercitata dal coniuge o dal convivente. A novembre del 2014, la legge sul Diritto delle donne a una vita libera da violenza è stata ulteriormente riformata e ora vengono delineati 2 tipologie di violenza in più, «femminicidio» e «induzione al suicidio».