Le sentenze per femminicidio fanno notizia, ma soltanto quando appaiono ispirate da spirito… non punitivo. Già questo dato dovrebbe farci ragionare sul perché proprio questo caso è stato portato dai media all’attenzione pubblica. Fu così anche per il caso riminese della “soverchiante tempesta emotiva” (iniziata e conclusasi con l’ergastolo, ma con l’intermezzo di una condanna a 16 anni -fu questa a focalizzare il clamore -poi annullata dalla Cassazione).

Così ora è per il caso bresciano che ha visto assolto in primo grado l’imputato per incapacità di intendere e di volere, in quanto affetto da disturbo delirante di gelosia, la cosiddetta sindrome di Otello. Nel caso bresciano la gelosia non ha inciso sulla entità della pena, per diminuirla (con le attenuanti generiche o con la prevalenza sulle aggravanti), ma ha inciso radicalmente sulla punibilità. Il delirio di gelosia, quale patologia mentale per disturbo delirante, ha escluso totalmente la capacità di intendere e di volere, quindi la imputabilità e dunque la punibilità.

Certo, per capire, occorrerà leggere almeno la motivazione della sentenza (quando sarà depositata) e, visto il caso, sarà corretto leggere anche le consulenze psichiatriche (perché risulta che su queste i giudicanti di Corte d’assise si siano basati, ma non la magistrata d’accusa che aveva chiesto l’ergastolo). Anzi sarebbe doveroso consultare l’intero fascicolo, come la Commissione femminicidio ha subito proposto (alla stregua peraltro di quanto sta già praticando per lo studio di tutti i femminicidi degli ultimi anni).

Eppure azioni istituzionali sono già state compiute. Il Ministro della Giustizia ha disposto una ispezione, acuendo la spettacolarizzazione del caso, che invece ha a che fare con l’interpretazione e con gli spazi di autonomia valutativa del giudice. Per parte sua, il Tribunale ha deciso di diffondere agli organi di stampa una “informazione provvisoria”, definita come una precisazione “a chiarimento di possibili interpretazioni fuorvianti”.

L’iniziativa forse è ispirata alla prassi recente di anticipare le motivazioni di talune sentenze di Corte Costituzionale e di Cassazione, che affermano – tuttavia – principi di diritto. L’idea è del tutto inedita e incongrua per la giustizia di merito dei casi concreti. Così al Presidente della Corte d’Assise è stato chiesto di scrivere, nel tentativo di arginare l’esposizione mediatica una …sentenza della sentenza, con anticipazioni di merito, che si spingono fino a escludere che il caso sia un femminicidio… Insomma, nello stringere i tempi, il focus è già stato spostato dalla applicazione della legge nel caso a tutt’altro.

Invece bisognerebbe innanzitutto domandarsi se oggi abbia ancora senso l’istituto giuridico della assoluzione per non imputabilità. Inoltre non abbiamo dati sui numeri degli assassini di donne che invocano a scusante la propria non imputabilità e che, per aver agito in stato di incapacità di intendere e di volere, non vengono sottoposti a pena.

Quante consulenze sulla imputabilità sono disposte d’ufficio, nel confronto con i periti dell’imputato, del PM o della parte civile? Quali gli esiti di tali consulenze? Neppure abbiamo dati statistici scientifici che ci dicano in quale considerazione tali consulenze peritali e le valutazioni del sapere psichiatrico vengano tenute dai tribunali: quante accolte e quante disattese?

Che accoglienza trovano, anche in giudici donne, le valutazioni di malattia mentale nei casi di violenze maschili contro le donne? Certo, se a commettere violenze sono i mostri, uomini malati e diversi, la mascolinità è salva! Ma così si consegue anche l’obiettivo di deresponsabilizzare l’autore malato, che può scaricare sulla propria malattia ogni colpa.