Degli aspetti esoterici dei film di Fellini si è parlato a lungo, dei suoi rapporti con Castaneda e i limiti della percezione sensoriale abbiamo dedicato più di un articolo su Extra e su Alias. Ora per riportare l’autore in una prospettiva più scientifica, pur con tutte le vie di fuga possibili, è stato presentato alla Mostra per le Giornate degli Autori in una proiezione speciale al teatro Goldoni il film «Fellini e l’ombra» di Catherine McGilvray ovvero la via junghiana al cinema di Fellini.

Il film sceneggiato da Caterina Cardona, Catherine McGilvray e Bruno Roberti ci accompagna con un ritmo onirico su una delle possibili strade da percorrere per analizzare la sua creatività (anche se il regista riteneva un film affascinante finché restava misterioso, inspiegabile, come dice in apertura), uno studio mai affrontato prima con questa profondità di elementi e testimonianze.

Il documentario fa emergere soprattutto il dolore della creatività, il precipizio in cui affondare ma da cui talvolta non si riesce a riemergere («Faccio film come in fuga, come una malattia da scontare, pieno di rancore»), In seguito a una depressione profondissima che lo colpì negli anni Sessanta, Fellini su cosiglio di Vittorio de Seta, iniziò un percorso analitico diventato guida spirituale, con il dottor Ernst Bernhard, psicanalista pioniere dell’analisi junghiana in Italia. Era arrivato a Roma per sfuggire al nazismo, dopo un breve soggiorno a Londra dove fu accolto piuttosto scetticamente per i suoi sconfinamenti astrologici ed esoterici e il suo studio di via Gregoriana fu frequentato da intellettuali come Natalia Ginzburg, Adriano Olivetti, Giorgio Manganelli, Amelia Rosselli.

Nel film una regista portoghese (Claudia De Oliveira Teixeira (interprete dell’Iguana, esordio di di Catherine McGilvray) vuole indagare in particolare sulle zone d’ombra di Fellini, il suo lato più oscuro e trova decisivi indizi nel famoso Libro dei sogni (stampato per la prima volta nel 2007) che Fellini iniziò a scrivere e illustrare su consiglio di Bernhard per circa trent’anni anche dopo la morte del suo analista avvenuta nel 1965. I disegni si animano, rimandano alle scene dei film, ricompongono una vicenda artistica da un punto di vista differente, con gli approfondimenti di altri analisti junghiani come Peter Ammann analista di Zurigo, Christian Gaillard studioso del Libro dei Sogni, Eleonora Trevi D’Agostino.

Aggiungono elementi a un quadro intimo, ai drammi dei film mai fatti e non solo per motivi economici (come l’epopea di Mastorna) anche le citazioni delle lettere a Simenon, l’amico scrittore con cui intrattiene una lunga corrispondenza. Sarà proprio Simenon a consigliargli di continuare a lasciarsi guidare da Jung e dal proprio inconscio nel processo di creazione artistica.
Così diventa profondamente simbolica nel film la visita alla casa Torre di Jung a Bollingen con la guida del nipote che ci porta a entrare anche nelle stanze più segrete, discesa in abissi in cui ci si può iniziare a sprofondare ma non con la certezza di risalire.