Chissà quante volte in questi giorni abbiamo, detto, letto, ricevuto la frase augurale: un felice anno nuovo! Ma quale felicità effettivamente ci si può aspettare dall’appena iniziato 2016? E soprattutto, che cosa sarà mai la felicità? Un qualcosa che ci accade inaspettatamente, un po’ come la grazia dei cristiani? O una condizione che possiamo conquistarci agendo e pensando in una certa maniera, semmai sfidando le avversità del fato?

Interrogativi e riflessioni, come si vede sin troppo profonde, che mi ha suscitato, oltre l’incidente di un altro anno – ahimè, e quanto in fretta! – trascorso, anche la lettura del denso libretto di Alain Badiou Metafisica della felicità reale (Derive/Approdi 2015).

Ne ha già parlato sul manifesto Benedetto Vecchi, e io mi limito a riportare qui alcune definizioni di felicità che il filosofo francese elabora, e che molto opportunamente per il lettore pigro e non troppo addentro alle complesse dinamiche concettuali della filosofia, elenca in una ultrasintetica «conclusione». Ecco:

  • Una certa dose di disperazione è la condizione della felicità reale.
  • La felicità è sempre godimento dell’impossibile.
  • Ogni felicità reale è una fedeltà.
  • Ogni felicità è in un certo senso ricavata dalla forza del volere.
  • La vera essenza della libertà, condizione essenziale della felicità reale, è la disciplina.
  • La felicità è l’accadimento, in un individuo, del Soggetto che scopre di poter diventare.

Ho scelto 6 definizioni, sul totale di 21 che Badiou elenca, probabilmente attratto da quelle che possono risultare un po’ più indigeste, se non urticanti, rispetto a un’idea più leggera e forse comune di felicità, secondo la quale essa consisterebbe più che altro nell’appagamento dei propri desideri e nell’essere corrisposti nei sentimenti.

Naturalmente bisognerebbe poi mettersi d’accordo su che cosa si intenda per desideri e sentimenti. Per il nostro filosofo il nesso stretto tra verità e felicità si misura – mi sembra – sul desiderio di venire radicalmente a capo di se stessi (divenire Soggetti) e di appassionarsi a cambiare un mondo (che poi si tratta di vari diversi mondi) in cui prevalgono opinioni deboli e consumismo eccessivo. In questo mondo si può certo essere soddisfatti, ma ciò non avrebbe niente a che vedere con la vera felicità.

E questo mi fa venire in mente una per me meravigliosa frase di Marx , pescata quasi casualmente nei Grundrisse (non li ho certo letti tutti): «…il mondo moderno lascia insoddisfatti, oppure, dove esso risulta soddisfatto di sé, è volgare». Non vi sembra perfettamente vero anche nel 2016?

Mi piace anche ricordare che Badiou declina verità al plurale, indicando quattro diverse «procedure» della sua ricerca: la scienza, l’arte, la politica e l’amore. Ed è in quest’ultimo che la differenza e l’universale si possono più vitalmente incontrare.

È una filosofia dichiaratamente «classica» e «sistematica», che si ostina a ripensare il comunismo e si richiama a Platone. Dunque potrebbe essere anche sbagliata. Per quel che ne capisco sarebbe utile comunque confrontarsi con un simile errore.

Infine, per chi si fosse comprensibilmente annoiato di tutte queste citazioni filosofiche, concludo con un’altra, della poetessa Mariangela Gualtieri, della quale mi sono incuriosito grazie a un caro amico in quel di Brescia:

Meraviglia dello stare bene
quando le formiche mentali
non partoriscono altre formiche
e si sta leggeri come capre sulla rupe
della gioia.

(da Le giovani parole, Einaudi 2015)

Che sia un’altra via, una scorciatoia ironica e incantata al mistero della felicità?
In ogni caso, buon anno.