Dieci anni dopo, è ballottaggio per il sindaco. Di nuovo la prova del fuoco per Felice Casson, che riparte da 46.298 preferenze rispetto alle 34.790 di Luigi Brugnaro, alla testa dei neo-berluscones. Nel 2005 aveva dismesso la toga da pm delle inchieste sul Petrolkimico e Gladio: candidato della coalizione «rossoverde», fu bruciato per 1.340 voti dal filosofo Massimo Cacciari sostenuto solo da Margherita e Udeur. Ma questa volta Venezia sarà chiamata a scegliere fra #Felicittà o alluvione di lobby, tutela dei beni comuni o assalto di vecchi e nuovi cannibali, trasparenza amministrativa o «concessioni uniche».

Casson dimostra tranquillità, concentrazione e fiducia. È rientrato dal breve relax in montagna, pronto a rituffarsi nel secondo tempo della campagna elettorale in mezzo al popolo di centrosinistra, e non solo. «Non sono affatto preoccupato. Sono pronto a vincere la sfida del 14 giugno», dichiara prima ancora di studiare nel dettaglio i risultati delle 256 sezioni sparse fra sestrieri, isole e terraferma. E aggiunge: «Zaia si è rivelato un ciclone impressionante, una bella scoppola per il Pd. Il voto delle Regionali ha influenzato anche quello locale, sebbene non fino in fondo. Comunque, il ballottaggio sarà tutta un’altra storia…».

Si riparte, comunque, dal programma e dalle idee-chiave che hanno caratterizzato la candidatura di Casson fin dalle Primarie. E si va a “caccia” soprattutto di chi ha disertato le urne, degli scettici scottati dalla giunta Orsoni, degli oltre 15 mila elettori del M5S.

Intanto, bisogna anche studiare l’impresa Brugnaro & C. L’avversario è figlio del poeta-sindacalista Ferruccio e di una maestra elementare, ha in tasca una laurea in architettura e cinque figli. Brugnaro è sinonimo di Umana, la holding del lavoro interinale fondata nel 1997, ma anche di Confindustria: è delegato veneto per Expo 2015. Ha riportato la Reyer ai vertici del basket, ma giusto un anno fa aveva offerto 513 mila euro per l’isola di Poveglia…

I numeri aiutano a “radiografare” le urne di Venezia. Il re delle preferenze (955) è Simone Venturini delle Civica Brugnaro. La lista di Casson (quasi 20 mila voti pari al 17% con il Pd a ruota) risponde con le 883 preferenze di Nicola Pellicani, il seggio della 29enne Francesca Faccini della coop Controvento di Forte Marghera e di Rocco Fiano, ex rettore del Foscarini.

Nelle municipalità finisce 5-1. Con Gianfranco Bettin presidente nella sua Marghera, grazie a 4.416 voti contro i 2.790 del candidato di Brugnaro. Il Pd riconquista il Lido, ma per soli 211 voti il centrosinistra perde Favaro. Ma in Veneto è ancor più sconfortante il “day after” della catastrofe di Alessandra Moretti inchiodata sotto il 23% dei consensi. Riflette a voce alta Umberto Curi, emerito di filosofia all’Università di Padova con un passato alla Biennale e da direttore dell’Istituto Gramsci Veneto: «Questo territorio è l’unico in Italia a non essere mai stato governato dalla sinistra.

Da nessun’altra parte si è assistito ad una tradizione così lunga che parte dalle giunte monocolore democristiane, attraversa il duopolio Dc-Psi con Bernini e De Michelis, si consolida con i tre mandati di Galan e approda infine al trionfo di Zaia. Senza che mai sia apparsa all’orizzonte almeno una tenue ipotesi di cambiamento». Di qui l’indice puntato sulla classe dirigente del Pd veneto: «Un partito che non ha mai neppure tentato di guardarsi veramente allo specchio o avuto il coraggio di fare i conti con la propria inadeguatezza. Ha puntato a conservare una miserabile rendita di opposizione. E si può scommettere che anche di fronte ad una disfatta totale si troverà il pretesto per non cambiare nulla…».