Sorpresa: il modello Gentiloni («camomilla», come lo definisce Renzi) ha una musa. Sta a Roma, non ha mai perso un’elezione (2008 alla provincia, 2013 alla regione). E mentre il partito scava sotto i minimi storici di consenso, i sondaggi lo danno con il vento in poppa. «Quando vedo Zingaretti e la serenità che esprime mi sento tranquillo», dice il premier all’apertura della campagna elettorale alla Città dell’Altra economia davanti ai volontari del Pd romano, «è una presenza straordinariamente rassicurante non solo per noi ma per i cittadini di Roma e del Lazio, con il suo modo di interpretare la funzione di governo proprio come va fatto, ovvero andando incontro alle aspirazioni, alle preoccupazioni, anche al disagio dei nostri concittadini e cercando di immedesimarcisi e di farlo con il sorriso».
IL RICONOSCIMENTO è forte, una medaglia. Ma lui, Zingaretti, resta coi piedi per terra. Lo sguardo scanzonato di famiglia – in tv sta per tornare l’ispettore Montalbano del fratello Luca, lo stampo è quello -, è «no comment» quando sente domande tipo: «Scusi, è lei il futuro del Pd?».
Fra i suoi la parola d’ordine è: «Dobbiamo tornare a vincere in regione, il resto non esiste». Sottinteso: c’è solo da pedalare. Mentre il Pd piomba al 22 per cento, mentre Renzi precipita nei consensi, l’unico che tiene è il presidente del Lazio. Secondo un sondaggio di Nicola Piepoli pubblicato ieri da La Notizia, Zingaretti veleggia al 38-40% staccando di dieci punti la pentastellata Roberta Lombardi al 25-28%, seguono Stefano Parisi al 16-18% e Sergio Pirozzi fra il 6 e l’8. Al comitato, a via Cristoforo Colombo, c’è soddisfazione ma non si canta vittoria. La nuova formula funziona: la coalizione è più larga di quella del 2013. E infinitamente più larga di quella del Pd nazionale. Ma resta un classicissimo centrosinistra: a manca c’è Leu, (Mdp più Si), a ’destra’ (si fa per dire) c’è la lista Centro solidale, guidata da Paolo Ciani, della Comunità di Sant’Egidio. In mezzo, la lista Pd (che ha preteso il nome del presidente nel simbolo per rimpolpare i consensi), la Lista Civica per Zingaretti, i radicali di +Europa (che hanno firmato la pace dopo la rottura dello scorso giro), i Verdi-Socialisti. Fuori fra le polemiche la «Civica popolare» dell’alfaniana Lorenzin, alleata del Pd alle politiche: dopo aver sparato a zero sull’«antirenzismo» di Zingaretti, ha minacciato di candidarsi lei stessa. Alla fine ha ripiegato sull’ex Pd Touadi.
IL MODELLO LAZIO è l’esatto opposto del Modello Nazareno di Renzi. Ma nessuno lo sottolinea troppo: da anni fra i due vige un patto di non belligeranza. Al congresso Zingaretti si è schierato con Andrea Orlando senza mai spingere troppo sull’acceleratore. Renzi però non è il genere che dimentica. E la notte delle liste ha lanciato un bengala al governatore: piazzando in posizione impossibile Mario Ciarla, il zingarettiano coordinatore della mozione Orlando nel Lazio. Messaggio ricevuto, Ciarla si è ritirato in buon ordine.
DA SEMPRE del resto al Nazareno si consulta lo specchio delle brame per spiare le mosse dell’incolpevole antagonista, sospettato di ambire alla leadership del Pd post-renziano, progetto antico coltivato da Goffredo Bettini a cui Zingaretti non si è mai lasciato andare (provocando l’ira dei suoi). A via Colombo il tema è tabù: «Ogni sei mesi Nicola viene candidato da qualche parte. Ma lui è sempre restato lì dov’è stato eletto. Punto». L’ultimo no l’ha detto a Luca Lotti, che gli offriva un posto al senato: una cortesia che aveva il sapore di un anticipo di pensione.
AL NAZARENO NEGANO la competizione e spiegano i sondaggi del governatore con il fattore «C», diciamo fortuna: il centrodestra diviso schiera due figure deboli, Parisi e Pirozzi. Zingaretti ieri ha replicato davanti ai suoi romani con orgoglio ma sempre con molto giudizio: «Sarà una battaglia dura. Qualcuno dice ’meno dura perché gli altri sono divisi’. Non è così: siamo stati una grande esperienza di governo con radici molto ferme. Siamo una forza inclusiva».
E INVECE LA COMPETIZIONE c’è, ed è quasi uno scontro diretto: nel 2013 Zingaretti in regione ha preso 370mila voti in più di Italia bene comune, la coalizione di Bersani. Per mantenere una performance di livello ora che il Pd è in caduta libera, la sua campagna elettorale procede a ritmi serrati con particolare attenzione sugli scivoloni della sindaca Raggi. Ieri, per esempio, si è schierato accanto a premi oscar e big del cinema a sostegno dell’Arena estiva proposta dai ragazzi del Cinema America (e passata in taglio dal vicesindaco Bergamo). Una delle tante battaglie che il Pd romano snobba.
CHE VENGONO RACCOLTE dalla Lista Civica per Zingaretti, dove, a dispetto del profilo, finirà per riversarsi il malcontento anche dei militanti dem. La sua campagna è coordinata da Massimiliano Smeriglio, vice di Zingaretti. A guidarla due giornalisti: Carlo Picozza, ex di Repubblica e firma storica delle inchieste sulla sanità regionale («È stato il primo a farmi le pulci, è un onore oggi averlo con me», lo ha presentato Zingaretti), e Marta Bonafoni, già ex del listino nel 2013. Altro big delle preferenze Michele Baldi, moderato, passato a sinistra ai tempi di Veltroni. E Gino De Paolis, uomo chiave del rapporto con la realtà produttiva di Civitavecchia. E infine, fra medici e insegnanti, Mario Zega, esponente del mondo della sanità. Partito con un commissariamento e un ’buco’ da10 miliardi, è stato il principale banco di prova della giunta.