Federico Tavan se l’è svignata proprio come piaceva a lui, sorprendendo ancora una volta tutti. Lui, il ‘poeta delle pantegane’ la pantiane che non ha mai nascosto una sorta di viva simpatia per quegli animali del ‘sottosuolo’; dell’ underground, come a lui piaceva urlare scalmanato (gosâ) “la fogna mi piace perché é in basso come l’inferno…”. Ma chi sono poi queste pantianes da lui così amate se non i diseredati della terra, gli ultimi della scala sociale, i perdenti, gente senza storia se non quella delle pedate che prendono?

“Canto di loro/il freddo della mani, la febbre nella testa,/il silenzio della voce,/la fatica dei piedi,/le lacrime morte,/l’inverno dei coglioni/.

Federico stava bene nell’underground dei cantieri e dei centri sociali, lui il più irregolare dei poeti di quella straordinaria stagione friulana che inizia verso la metà degli anni ’80 e che ingloba tra gli altri, Amedeo Giacomini e Ida Vallerugo, Pieluigi Cappello e Tito Maniacco fino alla totale, ingestibile, inclassificabile, anarchica, naïf nel senso più genuino e per questo essenziale, poesia di Federico Tavan. Federico se l’è svignata quasi a cavallo tra la data della morte di Pierpaolo Pasolini, che adorava e che chiamava El Mestre (il maestro), e il compleanno dei suoi 64 anni, il 5 novembre. Amazzato/mentre tentava/per l’ultima volta/di avere coraggio./ Per me resti il/poeta,/per gli altri/uno stupido tentativo di/recuperarti./Io che sono un povero diavolo/non posso far altro/che vedere ancora/il palazzo,/rimasto tale e quale,/con i muri alti/e le catene./ Io che sono matto/vedo le tue mani/piene di graffi/che tentano di uscire./

Federico poeta fou per fato. Folle per-e-nel dire. Per necessità a lui sconosciuta. Predestinato insomma. Poteva capitare anche a te/ di nascere in un pentolone/tra rospi e intrugli/di streghe senza processo/e il dolore grande di una madre./ Io mi sono trovato a passare/da quelle parti./

Su di lui c’erano aspettative in famiglia, e che aspettative, dopo che Giacomina, da tutti reputata la “strega” (da quelle parti nella stretta gola della Val Cellina nel 1643 furono contate 32 indemoniate) entrando all’improvviso nella chiesa di Andreis, urlò ripetutamente a Cosetta madre di Federico in cinta di lui di quattro mesi, mentre pregava alla Madonna, “vedrai vedrai cosa nascerà….un mostro”. Insomma un vero e proprio malocchio. Cosetta sviene e viene portata a braccia a casa. Federico si rivolta nel suo ventre. Scalcia. Ma Cosetta non perde il bambino altrimenti “…io sarei un aborto di poeta”. Ecco il fato che si materializza, che guida gli eventi secondo un ordine non modificabile. E Federico non può deludere tutte quelle… aspettative. “Niente di clamoroso se nella pancia non ci fossi stato io. Non potevo deludere…Ecce Mostrum”!

Al mostru Il mostro

Sì ’e soi jò

inventât da vô.

Ma dopo ’e ve soi scjampât.

E dal mostru

al paron ’e soi deventât. 

(Sì sono io/ inventato da voi./Ma poi di mano vi sono sfuggito./E del mostro/mi sono impadronito)

Poi l’infanzia (l’amata madre lo lascia troppo presto a 11 anni) accompagnata da ossessioni e solitudini. A 14 anni, prime esperienze all’ospedale psichiatrico e scrive Anc jo ‘e ven jù, (Anche io vengo giù) poesia che ricorda il racconto della nonna Fany su quell’incontro della figlia in Chiesa. E Federico intuisce che non c’è nulla da fare. In un dialogo immaginario con Giacomina scrive….” Giacomina, mia finta madre. Ti amo nonostante tu mi abbia maledetto. Ucciso tutte le galline nel pollaio e offerto caramelle avvelenate…. hai solo fatto il tuo dovere di strega e hai scelto me. Alleluja”.

Federico cresce segnato da superstizioni, deliri e difficoltà psichiche. I suoi demoni lo invadono. È a pelle nuda, senza autodifese di fronte al mondo. Convivere con gli obblighi imposti dalla società è sempre più improbabile. Già a scuola viene castigato troppo spesso perché “…ero lo zibello, il complessato, il diverso…e continuavo a grattarmi”. Poi in collegio al Don Bosco di Pordenone, ” …il collegio di quel Santo di Don Bosco, roba da ricchi nel ’62…e i preti 37 aguzzini…Un esercito. Scodinzolante in nero” che per Federico si trasforma in un vero e proprio lager. Il padre poi che si vergognava di quel figlio, fa carte false per obbligarlo al servizio di leva. Viene esonerato dopo alcuni mesi perché bacia in bocca il suo capitano. Al lavoro, a singhiozzo tra momenti di ricovero e vita normale… alla catena di montaggio della REX sembra un sabotatore agguerrito. Ma era solo distratto. Lo allontanano. Ogni suo tentativo di socializzare -a modo suo naturalmente- viene vanificato. Ego-eccentrico fino all’osso -sulla sua porta di casa inciso in un legno un Qui dorme lui in bell’evidenza- per salvarsi da un suicidio a portata di mano, gli resta solo la possibilità d’amore “…me stesso da amare” e una poesia d’amore che prende a pugni il nulla parlando “de monades/e de me”. Riuscendo così ad esprimere attraverso una poesia tempestosa una condizione di profonda perturbazione congiunta ad un’estrema necessità di felicità semplici: “Se fos normal/e sunarés/dute’ li cjampanes…E po’ via/ pa’ chî prâtz/a deventâ/flours/âs/e/la meil/. (Se fossi normale/suonerei tutte le campane. E poi via per i prati a diventare fiori, api e miele). Per Federico si tratta di farsi vivere e di sopravvivere al male fatto – il venire al mondo- tra quello che è il ‘mal fatto’ e quello che fa male.

Paolo Medeossi che è stata una delle persone più vicine a Federico dice di lui: ” Tavan, davanti alla sua crisi e alla sofferenza che solo psicofarmaci o alcool hanno lenito o tenuto a bada, è sempre stato esclusivamente poeta: non è mai venuto meno all’impegno di farne atto pubblico urlando verità scomode e dando generosamente in pasto la sua stessa esistenza. Il poeta, se vero, non può far altro, è questo il suo destino, la sua missione, il suo principale dovere civile. Precario, inaffidabile, approssimativo, imperfetto in tutto, Federico è coerente e lucido invece in questo compito”.

Ma è Mario Turello che abbozza un secco e acuto ritratto : “Ha appreso l’arte della bisnonna (Mi ava-banda), dell’ava-banda/vecja contrabandiera/inteligjenta, che nascondeva esibendo: no jodéu ch’ài al cos/ plen de tabac, e otteneva col riso di non essere presa sul serio. Ugualmente lui, Federico, il berretto a sonagli indosso, contrabbanda tra understatement e meditata stravaganza, la poesia, non insana e non minore, ma autentica e intelligente, de un par cui nasce/ al éis comunque biel” ( di uno per cui nascere è comunque bello).

Nonostante ce l’abbia messa tutta, Federico in vita non è riuscito a liberarsi dalla sua ruvida sofferenza: “…sono molto sereno, forse mi manca solo un grammo per essere felice, ma un grammo è tanto.” Certo, ora ci rimane la sua poesia. Ed è in quelle righe che ritroviamo il tentativo taumaturgico che Federico Tavan ha fatto anche per noi tutti. Quello di liberarsi dalla sofferenza e vivere il mondo.

Federico Tavan, come per il friulano casarsese di Pasolini, è riuscito perfettamente attraverso una parlata minima, il dialetto friulano di Andreis (lingua dentro la lingua in barba ai normalizzatori di una lingua/dialetto omologata che serve solo ai poteri piccoli o grandi che siano), ad essere il cantore e a dare alta dignità ad una parlata minore, di aspirazioni e denuncie che voleranno per sempre oltre alle sue chiuse montagne, dentro La naf spazial“Chista/’e n’éis ‘na conta/pai nins,/éis ‘na storia vera,/ da matz.(La nave spaziale) “Questa non è una fiaba per bambini, è una storia vera da matti”. Ora quelle storie da matz viaggiano per l’eternità, sotto varie forme, nelle galassie. E Federico non è più solo ma è tutti noi…

“Vi amo tutti, tutti! Io non sono pazzo. Io volevo essere voi, io volevo essere me, io volevo essere Dio, io volevo essere il vento, io volevo essere una farfalla, io volevo essere un sacco a pelo, io volevo essere un airone, un calabrone, una cicala, una messa in scena, un grande artista, un pidocchio, un’alce, un presentatore, un uccello del paradiso, un passero, un aereoplano, un cantautore, una donna a ore, una nuvola, una cicogna, un fringuello, un grande artista, un trullo di Alberobello, un usignolo, un ciclamino, un colibrì, una lucciola, un arcobaleno, un aquilone, un grande artista! Applausi! Applausi! Applausi!”