Nella metropolitana di Parigi le persone leggono più che in quella di Milano; meno di un tempo, complice lo smartphone, ma comunque molto e spesso. Generalmente libretti piccoli, di quelli che stanno in tasca oltre che in borsa, senza ingombrare e pesare. Non sempre, però, leggeri nei contenuti: poesia, racconti e saggistica ancor più dei romanzi si prestano a questo consumo di dieci minuti tra una fermata e l’altra. E nei giorni in cui si svolge il Salone del libro di Torino viene da chiedere agli editori pubblicazioni adatte a seguirci anche nel traffico di giornate indaffarate.

La casa editrice Salerno ci ha pensato con una collana, Astrolabio, che è appunto leggera nel formato, non per forza nei contenuti, ma che accetta di confrontarsi con argomenti magari «importanti» da trattare però con rapidità, quasi fossero instant book. La possibilità di parlarne arriva grazie a due uscite in apparenza diametralmente opposte per approccio: Franco Cardini, Incontri (e scontri) mediterranei (pp. 127., euro 8,90) e Ortensio Zecchino, Una tragedia imperiale. Federico II e la ribellino del figlio Enrico (pp. 98., euro 8,90).

Nel primo troviamo una riflessione che, mettendo a confronto e in dialogo tra loro periodi differenti (dal medioevo alla contemporaneità, ma con apertura alla storia più antica), illustra qual è l’unicità dello scenario mediterraneo sotto il profilo economico e politico. Lo si fa partendo dalla lezione di Fernand Braudel, citato in apertura, per la sua idea di un «continente liquido» del quale fanno parte tutte le culture che su di esso si affacciano e che interagiscono ben al di là delle differenze, magari religiose, dando vita a proficui scambi di quelli che Roberto Sabatino Lopez definiva «preziosi beni immateriali»: architettura, scienza, poesia, musica e così via. Inutile dire come il discorso braudeliano sia tornato straordinariamente attuale negli ultimi due decenni, e Cardini lo sottolinea mostrando come certi temi di fondo della storia mediterranea non siano mai andati via, sia pure alla luce di svolte e contesti anche nuovi; per questo è possibile passare, nel giro di poche pagine, dalla ‘rivoluzione commerciale’ del Mediterraneo del Duecento alle recenti crisi arabe e centro-africane senza che il lettore si senta perso.

Si direbbe completamente diverso, come si diceva, il saggio di Ortenzio Zecchino il quale, nell’immensa e complessa storia del grande imperatore Federico II, sceglie di gettar luce su un episodio drammatico: il tradimento e la morte del figlio Enrico, in un periodo per lo Svevo già denso di difficoltà. Se Cardini mette a confronto le epoche, Zecchino compie la stessa operazione costruendo un parallelismo fra le fonti (e citando per questo Marc Bloch), in un dialogo serrato che ha il fine di arrivare a comprendere non solo e non tanto la Verità, quanto le differenti visioni ne vollero offrire i contemporanei. Sebbene un elemento di verità il testo lo possa offrire: le recenti analisi dello scheletro di Enrico chiariscono alcuni dettagli importanti dei suoi ultimi anni e della sua morte. Attraverso il rapporto apparentemente intimo tra padre e figlio si giunge a parlare dell’impero e delle realtà istituzionali e culturali che ruotavano attorno a esso nei secoli maturi dell’età medievale.

Alla fine, insomma, alcuni elementi comuni ci sono, se non altro nella condivisa ispirazione alla nouvelle histoire. E poi nel riuscire ad affrontare temi importanti in modo agile, prestandosi così assai bene alla funzione della quale si parlava in apertura.