«Bisogna credere nella primavera, e nelle note che verranno». Così dice Federica Michisanti, contrabbassista romana autrice col suo trio dell’ottimo Isk, un disco che ha avuto importanti riconoscimenti, e così recita la rassegna,promossa dall’associazione 4’33’’ , You must Believe in Spring a Mantova lo scorso aprile. Con lo storico e vulcanico collega di corde ed archetto Roberto Bellatalla negli spazi suggestivi del Teatro Magro i due musicisti hanno esplorato possibilità per un’ora di musica urgente e viva.Note lunghe come uno Shostakovic alla moviola, il moto browniano del suono libero, stridori, sfrigolii, un free da camera scabro misurato, capace di indugiare tra vaghissimi profili bop e labirinti novecenteschi. Bellatalla getta ponti tra un altrove e l’altro, una Babele febbirle ed austera dove si parla una lingua ignota eppure familiare, perché arcaica, e quindi modernissima.

Mi racconti il tuo primo ricordo musicale?

Mio padre che canticchiava i Beatles in macchina. E oi una canzone che cantava Meryl Streep in un film e che mi rimase talmente impressa che ne scrissi sul mio diario,

Era Amazing Grace… E i musicisti che senti importanti nel tuo percorso?

Ho letteralmente consumato i dischi dello storico trio di Bill Evans, alcuni dischi di Mingus, Wayne Shorter, oltre che di Ornette Coleman ed Eric Dolphy, Miles Davis, dagli albori fino ai suoi dischi sperimentali, Paul Bley, Jimmy Giuffre, Jaco Pastorius. Poi Bach, Beethoven, Debussy, Ravel, Satie, Rachmaninov, Stravinskij. Per me sono stati tutti importanti, come ancor prima i Led Zeppelin, i King Crimson, Jimi Hendrix ed i dischi della Motown.

Come nascono le composizioni, cosa ti ispira?

La maggior parte delle volte compongo al piano, mi siedo e rimango in silenzio per un po’. Poi inizio con le prime note e mi metto in ascolto delle note successive che verranno. Ultimamente spesso scrivo a due voci, due linee melodiche che procedono per moto contrario.

Mi parli del progetto Musica Segreta con Trovalusci?

Ho conosciuto Gianni attraverso un video di una sua performance all’ex cinema Palazzo a Roma e quindi lo andai a sentire ad un concerto al Blutopia, sempre a Roma perché mi piaceva molto il suono del suo flauto basso ed il suo fraseggio. Pensai che il flauto ed il contrabbasso potessero dialogare bene. Così gli ho proposto di trovarci e suonare ed è subito successo qualcosa. Da qui l’idea di Gianni di suonare al buio per togliere la mediazione del visibile, in modo tale che l’ascoltatore possa focalizzarsi totalmente sul suono e la musica, che è totalmente improvvisata.

C’è oggi tutta una scena di musicisti italiani coraggiosi e aperti a contaminazioni, come Francesco Massaro o Marco Colonna. Cos’è il jazz secondo te?

Marco e  Francesco e Mariasole De Pascale sono musicisti che stimo molto, con gli ultimi due ho anche collaborato e torneremo a farlo. Io mi sento più orientata verso lo sviluppo della composizione e vorrei trovare proprio qui la mia cifra caratteristica. In questo forse abbiamo visioni leggermente diverse ma compatibili.Per me il jazz e la musica improvvisata in senso più ampio sono un mezzo per scoprire via via qualcosa di nuovo di me, perché attraverso la ricerca del suono, del fraseggio ed anche la composizione dei brani entro sempre più in contatto con la mia essenza.