«Spero di rivedervi il prossimo anno, se non fosse così è stato fantastico». Con queste parole che lasciano spazio a varie ipotesi, Roger Federer, 18 volte campione di un torneo del Grande Slam e capace a 35 anni di aggiudicarsi il suo quinto Open d’Australia si è congedato dal pubblico di Melbourne dopo l’epica sfida con Rafa Nadal, l’avversario che dal 2004 ha reso umano un fuoriclasse altrimenti senza limiti.
Già, perché il tennista svizzero nonostante i record e le vittorie ha trovato nel mancino (ma destro naturale) la sua nemesi, come in precedenza non era accaduto a Pete Sampras che batteva Andre Agassi con regolarità. Quasi che a Federer, per scontare il peccato del suo immenso talento, gli fosse stato annunciato dalle streghe di Macbeth un sortilegio proveniente da Manacor.

 
Anche in questa finale sembrava che si seguisse il solito copione: confronto di stili, colpi spettacolari, continui avvicendamenti in testa e, dopo ore di gioco sfibranti, il momento fatale in cui Nadal trovava i punti vincenti per andare a stringere la mano a Federer e alzare il trofeo.

 
Per quattro set il primo che strappava il servizio all’altro riusciva ad aggiudicarsi il parziale. Così si arrivava al momento decisivo, nel quale Nadal pur barcollando e salvando ripetutamente il proprio turno di battuta, si trovava al servizio con una palla per andare sul 4-2 e confermare il break ottenuto nel primo game del quinto set. Servizio, risposta in emergenza di un Federer trasfigurato, e subito un dritto del maiorchino contro il rovescio del campione di Basilea, la classica diagonale che in questi anni ha rappresentato un incubo per il re e i suoi fedeli sudditi.
Quel dritto, però, questa volta sbatteva contro il nastro che ne prolungava la traiettoria fino a far cadere la pallina in corridoio. Una fatalità che poteva accadere nel 2006 a Roma in una folle battaglia che vide Nadal prevalere sempre in cinque set dopo aver salvato matchpoint, oppure nel 2008 a Wimbledon nella finale che in tanti considerano la partita più bella di sempre, o ancora nel 2009, quando dopo l’ennesima vittoria Nadal andò ad abbracciare un Federer sfinito e in lacrime.

 
Quel nastro, invece, si è materializzato nella più improbabile delle finali giocata dai due campioni. La finale che tutti desideravano ma che ormai poteva essere contemplata solo in un mondo parallelo, dove Andy Murray e Novak Dokovic perdono da quasi ex giocatori. E nel quale i ragazzi degli anni Ottanta una volta ancora sono in grado di respingere l’assalto dei promettenti quanto deludenti giovanotti dei Novanta, i Grigor Dimitrov, Kei Nishikori e Milos Raonic, i veri sconfitti del torneo australiano.

 
Dopo quel nastro, dal possibile 4-2 Nadal si passava in un attimo al 3-4 per lo svizzero. Il dramma non era finito. A rifiutarsi di perdere era il tennista spagnolo che pur allo stremo delle forze non regalava la partita al suo contendente. Gli ultimi due game erano scritti da uno sceneggiatore che punta dritto ai sentimenti.
Al di là  delle fatalità i motivi della vittoria di Federer sono stati un rovescio non solo in grado di tenere il dritto di Nadal ma anche arma offensiva, i tanti punti ottenuti direttamente col servizio (20) e i colpi vincenti (73) che hanno contribuito a tenere la partita sotto le quattro ore, come era già capitato nei turni precedenti con Stan Wawrinka e Nishikori. Mentre Nadal ha pagato la maratona in semifinale con Dimitrov.
Quello di Melbourne è stato un entusiasmante ultimo valzer? Se anche fosse, si è trattato di uno spettacolo fantastico, in attesa che arrivino altri grandi interpreti come ad esempio il diciannovenne Alexander Zverev.