Negli ultimi due anni sono state organizzate mostre su Sofonisba Anguissola e Lavinia Fontana (Madrid, Prado), Artemisia (Londra, National Gallery), Le Signore dell’arte (Milano, Palazzo Reale); ora, il Castello del Buonconsiglio di Trento sta ospitando Fede Galizia. Mirabile pittoressa (visitabile fino al 24 ottobre).

L’ESPOSIZIONE curata da Giovanni Agosti e Jacopo Stoppa ricostruisce in nove ampie e documentate sezioni la carriera della pittrice, affrontandone per la prima volta in modo globale la sua varia e articolata produzione e rivalutandone il profilo artistico associato storicamente, con disinvolta abitudine, alla sola produzione di nature morte.
Fede Galizia discendeva da una famiglia di artisti – artista era Nunzio, il padre; artista era Alessandro, suo zio, e Giacomo Antonio, suo nonno – provenienti da Trento ma originari di Cremona, che la tradizione documenta a Milano a partire almeno dal 1587. A seguito del padre miniaturista, disegnatore di costumi, di accessori e cartografo, s’impegna fin dagli esordi nella copia di opere rinascimentali e nella produzione in serie di alcune composizioni, a cui la mostra dedica due distinte sezioni. Grazie alla mediazione di Giuseppe Arcimboldi, Fede Galizia inviò a Praga «alcune sue fatiche le quali furono molto care» a Rodolfo II d’Asburgo; e presto arrivò anche la fama.
Figura di passaggio dal Rinascimento al Barocco, Galizia, di cui ancora si ignora la data di nascita, che alcuni collocano tra il 1574 e il 1578, oltre che naturamortista, fu ritrattista e pittrice di pale d’altare, nonché virtuosa copista di Correggio e Parmigianino, a cui la mostra trentina dedica due sezioni.

A TESTIMONIANZA di questa sua attività rimane anche il testamento redatto a Milano, assediata dalla peste, il 21 giugno 1630, nel quale elenca sei dipinti da lasciare in eredità alla chiesa teatina di Sant’Antonio Abate, accanto a cui abitava: «Una Cingarina che vien dal Corez. Un Xto all’Horto che vien dal Corez. Una Madonina del Cavagnal che vien dal Chorez».
Al centro della mostra spicca la Giuditta del museo di Sarasota, firmata e datata 1596, l’esemplare più antico di un tema che replicò diverse volte. Il successo dell’invenzione è testimoniato dalla grande fortuna che ebbe il tema. Si trovano Giuditte nell’inventario di Palazzo di San Giovanni a Torino, al tempo di Vittorio Amedeo I di Savoia e di Cristina di Francia; dai Farnese e a Roma dai Borghese, con la bella versione datata 1601.
Non poteva mancare il Ritratto di Paolo Morigia, celebrato anche dal contemporaneo Gherardo Borgogni; il ritratto di Ludovico Settala, il medico della peste manzoniana; quello di Federico Zuccari, il pittore dell’Idea; e quello di Ippolita Trivulzio, principessa di Monaco, recentemente restituitole.
Fede Galizia si cimentò, come Plautilla Nelli, Sofonisba Anguissola, Lavinia Fontana e, più tardi, Plautilla Bricci, nella produzione di pale d’altare, e non solo per le chiese della sua città, Milano.

IL «NOLI ME TANGERE», ora alla Pinacoteca di Brera, è tra i dipinti rimasti della produzione sacra di Fede Galizia il più ammirato dai viaggiatori del passato, ma, curiosamente, quello forse più lontano dal gusto moderno. La minuzia con cui sono descritti i fiori in primissimo piano, che rimandano alla contemporanea produzione di nature morte, i gesti calibrati e la preziosità esecutiva delle vesti, visti con il cannocchiale del tempo, devono restituire la fama di Fede nella Milano a cavallo tra XVI e XVII secolo. Una sua opera viene inviata anche a Napoli, probabilmente nell’antica Sant’Anna dei Lombardi.
La sua opera di natura morta nota più antica dovrebbe risalire al 1602, mentre un’attestazione letteraria che la associa a questo genere risale al 1633. La Dignità et nobiltà delle donne di Cristofano Bronzini la descrive «Famosa e celebre (anzi eccellentissima) nell’arte della pittura fu anco Fede Galizia fanciulla milanese, la quale nel pinger del naturale et particolarmente frutti et piante, riuscì tanto rara». È forse lei l’autrice dei Frutti di mano d’una Donna, celebrati da Giovanni Battista Marino nel 1620. È lei la «mirabile pittoressa» di Carlo Torre, autore della prima guida di Milano del 1674.