Il ritiro volontario di Larry Summers dalla candidatura a prossimo chairman della Fed equivale alle dimissioni preventive per il candidato considerato favorito e quello preferito da Obama per succedere a Ben Bernanke.
La posizione di governatore della banca centrale degli Stati uniti può considerarsi la carica politica più influente del mondo e la notizia è giunta domenica come una doccia fredda.
Sulla carta si tratta di una importante vittoria per la sinistra democratica e i numerosi raggruppamenti progressisti (fra cui MoveOn, Democracy For America e DailyKos) che avevano sollecitato il voto contro Summers nella commissione finanze che dovrà approvare il direttore designato da Obama. In quella sede molti senatori dello stesso partito del presidente avevano annunciato il proprio no a Summers, uomo «di sistema» per eccellenza. Economista, consulente della Citibank ed ex presidente di Harvard, Summers è abituato a stare nella stanza dei bottoni. Con Timothy Geithner e l’ex ministro del tesoro, Henry Paulson, fa parte dell’esclusivo club di economisti in orbita Goldman Sachs assurti a posizioni politicamente strategiche e segnate da un marcato conflitto di interessi. Come ministro del tesoro di Clinton, Summers fu l’artefice della deregulation della finanza, mentre come principale advisor economico di Obama ha gestito la crisi con una politica parallela fatta di incentivi e di «salvataggio» dei colossi assicurativi e bancari.
L’assoluta affidabilità per Wall Street gli è valsa l’ostilità liberal. Obama, già impegnato in difficili battaglie coi repubblicani per la riforma sanitaria e il debito pubblico, ha preferito sacrificare l’amico e collaboratore piuttosto che aprire un inopportuno fronte politico a sinistra, dove Summers ha numerosi nemici. Il caucus afroamericano non lo vede di buon occhio a causa del licenziamento di Cornel West ai tempi in cui era preside di Harvard, mentre la National Organization for Women non gli ha perdonato alcune frasi sulla presunta minore «attitudine scientifica» delle donne.
La sua uscita di scena dovrebbe ora favorire la nomina dell’economista Janet Yellen, già vice di Bernanke, che sarebbe la prima donna a dirigere la Fed. Il che ha comunque una valenza simbolica in questo quinto anniversario del crack Lehman. Una piccola, e assai rara, soddisfazione dato che a cinque anni da quei fatti è amaro constatare che non c’è stata alcuna vera riforma del sistema bancario-finanziario.
La prossima crisi potrebbe ripetersi allo stesso modo e semmai il concetto di «too big to fail» che di fatto pone le banche al di sopra della legge si è rafforzato. Tutto questo a fronte di una disuguaglianza sociale sempre più ampia e la distruzione di milioni di posti di lavoro che non torneranno mai più. Un nuovo e più rapace capitalismo globale che ha il volto arcigno anche di Larry Summers.