Adele Parrillo, con il proprio compagno Stefano Rolla, nel 2002 si era rivolta alla fecondazione in vitro per provare ad avere dei figli. Stefano perse la vita nel tragico attentato di Nassiriya, insieme a militari e carabineri. Dopo il lutto Adele decise di donare gli embrioni crioconservati alla ricerca in modo da poter contribuire, con il lavoro dei ricercatori, a «trovare trattamenti per malattie difficili da curare».

Il desiderio di Adele ha dovuto però scontrarsi con la legge 40/04 che «proibisce l’utilizzo di embrioni per la ricerca» punendo chi li usa con «la reclusione in carcere da 2 a 6 anni». Nel 2011 Adele Parrilo, con l’avv. Nicolò Paoletti, ha depositato un ricorso alla Corte europea dei diritti umani di Strasburgo. A sostegno di Adele e della libertà di ricerca, l’Associazione Luca Coscioni ha depositato un amicus curiae insieme alle associazioni Cerco un Bimbo, L’altra cicogna, Amica Cicogna e 46 Parlamentari. Sempre a sostegno delle ragioni di Adele, sono intervenute anche l’associazione Vox e la Sifes, la Società Italiana Fertilità e Sterilità. In difesa della legge 40 invece sono intervenuti Governo, Movimento per la vita, Scienza e vita e il Forum delle associazioni familiari.

La Corte ha ritenuto l’ipotesi di violazione dell’art. 8 della Convenzione, ossia il rispetto della vita privata e familiare, ammissibile al fine della sentenza in quanto gli embrioni in questione contengono materiale genetico di Adele Parrillo e rappresentano, pertanto, una parte costituente della sua identità. Nel 2014 la Corte aveva giudicato ammissibile anche l’ipotesi di violazione dell’art. 1 del protocollo 1 della Convenzione europea (diritto di proprietà, per cui gli embrioni dovrebbero rimanere a disposizione delle coppie). Non è stata invece giudicata ricevibile ai fini della sentenza l’ipotesi di violazion, sollevata dai ricorrenti, del diritto alla ricerca scientifica (art. 10).

Nella sentenza Parrillo v. Italia, la Corte ha stabilito che la vita privata di Adele non viene violata dal divieto di destinare i propri embrioni alla ricerca scientifica. La sentenza ha riguardato soltanto questo, non è stata quindi una pronuncia di liceità del divieto di utilizzo degli embrioni, come qualcuno in queste ore sta cercando di far credere.

Nella sentenza emessa ieri sono inoltre state rigettate le motivazioni a difesa della legge 40 presentate dal Governo, è stato ribadito il margine di apprezzamento dell’Italia su tali questioni ed è stato affermato che i diritti di Adele Parrillo non sono lesi dai divieti di utilizzo degli embrioni per la ricerca, ipotizzando anche la possibilità di donazione per un’eterologa. Tale ipotesi potrebbe però non essere percorribile, perché in base alle normative sulla tracciabilità gli screening dei donatori non sarebbero possibili in quanto il compagno, Stefano, è deceduto.

In Italia la Corte Costituzionale fisserà a breve l’udienza proprio sul divieto di utilizzo degli embrioni per la ricerca scientifica, a seguito di un incidente di costituzionalità sollevato nel 2012 dal Tribunale di Firenze. I tribunali Italiani stanno affrontando le richieste delle coppie di donare alla ricerca embrioni non idonei per una gravidanza. Se il Governo Renzi vuole intervenire prima della Consulta, lo deve fare urgentemente. Come Associazione Luca Coscioni abbiamo promosso un appello al Governo per la libertà di ricerca sugli embrioni, perché la si smetta di dover importare embrioni da Australia, Svezia, Usa, Regno Unito quando gli embrioni italiani non possono essere toccati. La violazione del diritto alla scienza e del diritto per le persone di usufruire dei benefici della ricerca in Italia è calpestato. Tale violazione non era oggetto di ricorso dinanzi alla Corte Edu, dunque proseguiamo con determinazione verso il nostro obiettivo, del quale discuteremo anche al Congresso dell’Associazione Luca Coscioni a Milano del 25/27 settembre.

*avvocato, Segretario Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica