Dieci anni e una manciata di settimane per smontarla definitivamente, o quasi. Manca solo che la Corte costituzionale si pronunci sul divieto di ricerca embrionale – ma prima, a breve, dovrà farlo la Corte europea dei diritti dell’uomo – e poi la legge 40, varata il 19 febbraio 2004 e da allora sottoposta 29 volte al vaglio dei tribunali, sarà carta straccia. Ieri la Consulta ha dichiarato incostituzionale la norma che vieta il ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita (Pma) di tipo eterologo, ossia con l’utilizzo di gameti maschili o femminili donati da persona esterna alla coppia.

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Canta vittoria l’Associazione Luca Coscioni che, con gli avvocati Filomena Gallo e Gianni Baldini, si è fatta protagonista della lunga battaglia per smantellare pezzo per pezzo questa la legge. Qualche entusiasmo si percepisce anche dentro il Parlamento con l’esultanza di Sel e del M5S (che al Senato ha depositato il ddl Fucksia «in linea con la Consulta»). Ma dalle timide reazioni del Pd e dall’imponente eco vaticana che si propaga invece nelle stanze del centrodestra – «sentenza sconcertante», «attacco alla famiglia», «deriva pericolosa», «perdita di credibilità della Corte costituzionale», «vulnus alla sovranità popolare», e chi più ne ha più ne metta – si capisce invece che la sentenza getterà qualche scompiglio tra la compagine del governo Renzi. E infatti la ministra della Salute, Beatrice Lorenzin, è tornata ad agitarsi come all’indomani dell’abolizione della legge Fini-Giovanardi: «L’introduzione della fecondazione eterologa nel nostro ordinamento – ha detto ieri – è un evento complesso che difficilmente potrà essere attuato solo mediante decreti di tipo amministrativo, ma necessita una condivisione più ampia, di tipo parlamentare». Bisognerà aspettare, come sempre, le motivazioni dei giudici costituzionalisti per capire esattamente come la fecondazione eterologa potrà d’ora in poi essere regolamentata, ma la ministra Lorenzin ha già annunciato «al più presto una road map» per normare «alcuni aspetti estremamente delicati che non coinvolgono solamente la procedura medica, ma anche problematiche più ampie, come ad esempio l’anonimato o meno di chi cede i propri gameti alla coppia e il diritto di chi nasce da queste procedure a conoscere le proprie origini e la rete parentale come fratelli e sorelle».

Una posizione in parte condivisa anche dal Pd: «Sono d’accordo con la ministra che si tratta di materia molto delicata e che occorre una nuova legge per normare alcuni aspetti di natura tecnica oltre che etica – commenta, rispondendo al manifesto, il nuovo responsabile Sanità del partito, Federico Gelli, molto vicino al premier Renzi – ma mi sembra di capire che il pronunciamento della Corte parla chiaro e che quindi, al di là dei propri convincimenti personali e delle tante posizioni che esistono anche dentro il Pd, non si possa tornare in alcun modo indietro pensando di ripristinare con una nuova legge i divieti cancellati».

La Corte costituzionale di fatto ha dato ragione alle tre coppie che si erano rivolte ai tribunali di Firenze, Catania e Milano e ha bocciato le norme che vietavano l’eterologa (articolo 4, comma 3) e quelle correlate (articolo 9) che, in caso di ricorso illegale all’eterologa, stabilivano che il donatore di gameti non avrebbe potuto acquisire «alcuna relazione giuridica parentale con il nato» e vietavano «il disconoscimento della paternità e dell’anonimato della madre». Decaduto anche l’articolo 12 comma 1 che puniva «chiunque a qualsiasi titolo utilizza a fini procreativi gameti di soggetti estranei alla coppia richiedente» con una sanzione amministrativa da 300 mila a 600 mila euro. Secondo l’avvocato Gianni Baldini, tra i legali del procedimento di Firenze, la Consulta, accettando le obiezioni sollevate dai tribunali, avrebbe riscontrato una violazione della Carta per quanto riguarda l’articolo 2 (aspirazione procreativa), l’art. 3 (discriminazione tra coppie infertili totali e coppie infertili parziali che possono invece accedere alle tecniche di Pma), l’art. 13 (libertà del soggetto di disporre della propria identità biologica e fisica), l’art. 29 (diritto al costituire una famiglia) e l’art. 32 (tutela della salute).

È stato proprio l’avvocato Baldini, che rappresenta l’associazione Coscioni, a richiedere ed ottenere dalla Consulta il rinvio della discussione, inizialmente prevista per ieri, su un altro importantissimo punto, l’ultimo baluardo della legge 40, quello che vieta la ricerca sugli embrioni. «La Consulta ha accettato di discuterne dopo aver ascoltato la sentenza che la Grand Chambre della Corte europea dei diritti umani emetterà su questo tema il prossimo 18 giugno, decidendo sul procedimento aperto contro l’Italia da Adele Parrillo, vedova del regista Stefano Rolla deceduto nell’attentato di Nassiriya nel 2003, che vuole donare alla ricerca i 5 embrioni prodotti prima della morte del compagno durante un ciclo di fecondazione assistita. Se la corte di Strasburgo prima e la Consulta poi dovessero abolire anche questo ultimo divieto, della legge 40 non rimarrà più nulla.