La legge 40, come molti ricordano, fu approvata in tutta fretta, omettendo di valutare oltre 300 emendamenti all’epoca presentati e fu “blindata” dalla maggioranza di allora, che mostrò compattezza, nel respingere ogni proposta di correzione o miglioramento, e volontà di pervenire, senza modifiche, all’approvazione del testo predisposto. Verosimilmente, se all’epoca fosse stata mostrata maggiore disponibilità al dialogo, la legge non avrebbe successivamente conseguito il non invidiabile primato di essere tra quelle più spesso e per maggior numero di aspetti sottoposta al giudizio della Corte Costituzionale, con eccezioni di contrasto con i principi fondamentali della nostra Costituzione.

Subito dopo l’approvazione, la legge fu definitiva «la più punitiva d’Europa», in quanto si occupava delle norme relative alla procreazioni assistita con un’ottica penalistica, invece che promozionale e civile, nonché creava una nutrita serie di nuove fattispecie penali, vale a dire faceva contemporaneamente nascere ipotesi di reato che prima non esistevano, destinate a punire i cittadini, i medici, i ricercatori ed i responsabili dei centri che non si fossero attenuti alle sue disposizioni. Da quel momento molte coppie, private della possibilità di valersi dell’ausilio della scienza per realizzare il sogno di poter avere un figlio, si rivolsero ai tribunali e, sia in sede giudiziaria, che amministrativa (decisioni dei Tar) furono sollevate eccezioni di incostituzionalità, che determinarono rimessione dei procedimenti alla Corte Costituzionale.

L’apice di tale attività di impugnazione si ebbe il primo aprile del 2009, allorché la Consulta dichiarò l’illegittimità costituzionale dell’art. 14, comma 2, demolendo alcuni dei principi fondamentali della legge 40. Da quel momento, il numero di embrioni da impiantare non fu più aprioristicamente deciso dalle norma, ma stabilito dal medico, sulla base della situazione clinica di ciascuna paziente e, quindi, tenendo conto della sua salute, nonché fu abolito l’obbligo di impianto, sempre e comunque, degli embrioni formati, a prescindere dalle condizioni fisiche e psicologiche della donna che doveva riceverlo. Divenuto così possibile che alcuni embrioni fossero formati e non utilizzati, si ammise la possibilità di una loro crioconservazione.

Nonostante questo importante risultato, che stravolgeva l’impianto iniziale della legge 40, la stessa continuò ad essere diversa dalle analoghe normative esistenti in molti altri Paesi europei. Le contestazioni, i ricorsi al giudice e le rimessioni alla Consulta proseguirono, poiché molti cittadini continuavano a percepire un fondamentale distacco tra le previsioni di legge e ciò che esse determinavano, da un alto, ed i diritti fondamentali della persona dell’altro. Poter avere dei figli, avere figli sani, essere in condizione di esercitare come tutti gli altri i propri diritti in una sfera personalissima e decisiva per la vita e la realizzazione personale non è cosa cui si possa facilmente rinunciare.

Dopo la battaglia giuridica per la diagnosi pre-impianto, necessaria per poter far nascere bambini sani, portata avanti dalle coppie portatrici di malattie geneticamente trasmissibili e dalle associazioni che le sostengono, battaglia che ha condotto all’importante risultato di rendere possibile questa indagine, prima vietata, la fecondazione eterologa è divenuta la questione più rilevante e maggiormente al centro del dibattito giuridico e sociale sulla legge 40 o si potrebbe dire, su quanto ancora di essa resta in piedi. Il Legislatore avrebbe infatti potuto intervenire ed anticipare ulteriori pronunce di incostituzionalità, ma non lo ha fatto, preferendo lasciare alla Corte funzioni che avrebbe potuto rivendicare per sé. Il divieto di fecondazione eterologa è, tra i numerosi divieti posti dalla legge 40, uno dei più incomprensibili. Prima della legge, molti ritenevano che pacificamente la coscienza sociale ritenesse legittimo il ricorso ad essa. La fecondazione eterologa, infatti, si attua allorché una coppia, per poter procreare, ha bisogno dell’intervento esterno di un donatore. Come nell’adozione i due genitori, con un atto d’amore, scelgono di considerare proprio figlio un bambino biologicamente generato da altri, così nell’eterologa uno solo dei due compie questa scelta ed il bambino che nascerà sarà figlio biologico solo dell’altro, ma figlio fortemente voluto ed accettato da entrambi.

Si è detto che la fecondazione eterologa deve essere vietata perché la generazione può avvenire solo all’interno del matrimonio, ma questa tesi difficilmente può essere sostenuta e non sembra che debbano essere spesi argomenti per la sua confutazione, poiché generare o meno un figlio all’interno di un rapporto matrimoniale o meno non può che essere una scelta personale, non coercibile. Si è detto, altresì, che, vietando l’eterologa, lo Stato avrebbe “protetto” i cittadini dalle ripercussioni psicologiche interne alla coppia, derivanti dal fatto che biologicamente il figlio appartiene ad uno solo dei suoi componenti, ma questa tesi attribuisce allo Stato un ruolo di “Grande Fratello” che fortunatamente non appartiene alla nostra cultura. Neppure può dirsi che la procreazione eterologa crei problemi giuridici per l’attribuzione della paternità o maternità, poiché gli stessi sono stati altrove agevolmente risolti. Il divieto resta quindi immotivato.

Secondo il Tribunale di Milano, che ha sollevato la questione di illegittimità davanti alla Consulta, il divieto violerebbe più di un articolo della Costituzione, in ordine all’eguaglianza dei cittadini ed alla tutela del loro diritto alla genitorialità ed alla salute fisica e psichica.

La Corte deciderà questa mattina nel merito. Si auspica che questo divieto cada e che l’Italia si avvicini un po’ di più all’Europa della civiltà e dei diritti. A quando il prossimo passo avanti per il definitivo smantellamento della legge 40?

*giurista