Mimmo Mignano si è presentato stamattina alle 11 ai cancelli dello stabilimento Fca Giambattista Vico di Pomigliano d’Arco. La Corte di Appello del Tribunale di Napoli lo scorso settembre ha disposto per lui e per altri quattro operai del reparto logistico di Nola il reintegro in fabbrica: per le tre giudici che hanno emesso la sentenza, inscenare il suicidio di Sergio Marchionne tramite un manichino al di fuori del luogo e dell’orario di lavoro non giustifica il licenziamento, la costituzione tutela la libertà di opinione.

Mimmo è arrivato con indosso la maglietta che l’ha accompagnato durante i due anni di battaglia legale, sul petto è scritto “libertà di satira”, ma nessun collega l’ha visto: «Mi hanno fatto entrare in una stanzetta che si trova prima dei marcatempo, dove si fanno accomodare gli ospiti. Ho indicato l’Iban per l’accredito dello stipendio, ho sbrigato le pratiche per gli assegni familiari e mi hanno fatto uscire». Mimmo fa attività sindacale con il SI Cobas, è stato plurilicenziato ma finora ha sempre ottenuto dal tribunale il reintegro, ieri ha rimesso piede in fabbrica per la prima volta dopo dieci anni. Nel pomeriggio a Nola sono passati dalla stessa trafila anche Marco Cusano, Antonio Montella, Roberto Fabbricatore e Massimo Napolitano. Hanno concluso l’iter burocratico ma non torneranno nei reparti.

Fca ha fatto ricorso in Cassazione contro la sentenza di Appello, a ognuno di loro ha comunicato via raccomandata che «sulla scorta delle attuali esigenze organizzative e fino a nuova disposizione, Ella è dispensata dal rendere la prestazione lavorativa, venendole comunque garantito il normale trattamento retributivo». Resteranno a casa pagati in base al contratto di solidarietà, che vige al Vico, a zero ore (cioè con la paga più bassa, circa mille euro) fino alla sentenza di Cassazione, che potrebbe arrivare tra mesi oppure tra un paio d’anni. «Non vogliamo solo lo stipendio – continua Mignano – rivogliamo la nostra dignità. Valuteremo con il nostro legale il da farsi, perché secondo noi Fca non sta rispettando a pieno la sentenza della Corte d’Appello di Napoli. Devo poter guardare mia figlia negli occhi e dirle che sono tornato a lavorare. Non che adesso mi pagano con i soldi pubblici, presi dalle tasse di altri poveri cristi come me, per non fare nulla mentre la Fca aumenta le vendite e gli utili».

L’iter a cui sono stati sottoposti è in linea con la prassi consolidata del Lingotto. Nel 2012 la Corte d’Appello di Roma dispose il rientro al Giambattista Vico di 19 delegati Fiom, il contenzioso si chiuse con un accordo tra il sindacato e l’azienda ma gli operai furono lasciati a casa ancora per un anno: sono tornati a lavorare solo nel 2014 dopo una nuova causa promossa dalla Fiom per ottenere il rispetto dell’accordo. La battagli per Mimmo e gli altri è quindi destinata a continuare.

Nel frattempo la cura Marchionne applicata agli stabilimenti del napoletano non ha portato alla guarigione. Nel reparto logistico di Nola, il Wcl, dove avrebbero dovuto lavorare 316 operai, dopo otto anni senza missione produttiva l’azienda ha deciso di utilizzare il sito per lo smistamento della componentistica diretta a Cassino e Pomigliano, attivate dalle 60 alle 80 postazioni. Al Vico ci sono ancora 1.135 esuberi mentre sono 3.217 gli operai in regime di contratto di solidarietà: c’è chi lavora una settimana al mese e chi tre, il 28% circa non riesce a maturare i ratei e i premi collegati. A novembre 2011 è iniziata la produzione della Panda, da allora lo stabilimento attende un secondo modello per far rientrare tutti sulle linee.