Fca pensa di lasciare le motorizzazioni diesel a partire dal 2022. Lo ha anticipato il Financial Times domenica e l’azienda ieri si è trincerata dietro il solito «no comment».
Le ragioni di questa scelta – che arriva in ritardo rispetto a molte altre case (Volvo, Toyota, Porsche, Renault, Mercedes) sta essenzialmente in un calcolo meramente economico. Lo scandalo dieselgate che in Europa ha colpito Volkswagen, negli Stati Uniti costringerà Marchionne a sborsare cifre esorbitanti.
La scorsa settimana Bloomberg ha dato notizia della proposta di accordo fatta a Fca dal dipartimento di giustizia: una multa «sostanziale ma non specificata» per archiviare il caso, esploso nel gennaio 2017, di uso di software illegali, il cosiddetto defeat device, per passare test di laboratorio sulle emissioni. La multa potenziale massima è di 4,63miliardi di dollari, mentre Fca dovrà sobbarcarsi anche le spese per richiamare 104mila auto dei modelli Ram e Grand Cherokee con motori diesel prodotti tra il 2014 e il 2016.

La scelta di Marchionne – invece ancora contrario all’uso massiccio di tecnologie elettriche – è poi l’ulteriore conferma della centralità degli Stati Uniti per Fca. Lì infatti il diesel ha una quota frazionale del mercato dell’auto (meno dell’1%) mentre se in Europa nel 2016 più della meta’ delle immatricolazioni riguardavano auto diesel. E il nostro paese è ancora per il 56 per cento del mercato dell’auto.

E la scelta di abbandonare il diesel rischia – anche qui «come al solito» – di produrre conseguenze occupazionali molto gravi. Come ha denunciato ieri la Fim Cisl, sindacato firmatario di ogni accordo con Marchionne, sono due gli stabilimenti dedicati alle motorizzazioni diesel: la Vm Motori di Cento (Ferrara) e la Fca Pratola Serra (Avellino) con 3mila dipendenti. «Non abbiano avuto riscontri sulle indiscrezioni giornalistiche del Financial Times – spiega il segretario nazionale Fim Cisl Ferdinando Uliano – ma nel caso devono essere accompagnati da piani che riqualifichino le produzioni assegnando nuove motorizzazioni e nuove attività per salvaguardare occupazione e stabilimenti».

IERI INTANTO LA FIOM a Pomigliano ha incontrato la direzione aziendale che ha comunicato altri 8 giorni di stop produttivo a marzo. «Fca ha trasformato l’Investitor day del primo giugno (quando Marchionne dovrà annunciare il nuovo piano industriale quadriennale, ndr) in una sorta di lotteria Italia, dove in palio c’è l’assegnazione della realizzazione di nuovi modelli. Ma a Pomigliano non si può attendere l’inizio di giugno: i lavoratori meritano rispetto, hanno il diritto di avere certezze per il loro futuro e delle proprie famiglie», attacca la Fiom in una nota. «La produzione di vetture è aumentata da 430 a 450 per turno. Ma perché farlo se poi ci si ferma per mancanza di ordini? Gli operai lavorano di più e subiscono, oltre al peggioramento delle condizioni, anche più giorni di solidarietà con conseguente perdita di salario».