Tutto inizia in un vicolo malfamato, con un tizio che cerca di scappare inseguito da un gruppo di agenti dell’Fbi e, dopo pochi secondi, viene acciuffato. La scena si sposta su altri arresti, mentre un dirigente dell’Fbi osserva soddisfatto. Poi vediamo degli agenti fare irruzione in un ufficio e portare con loro un’impiegata, mentre subito dopo, in un parcheggio sotterraneo, il proprietario di un’auto di lusso finisce in manette.Il momento culminante del video (2’ e 10”) arriva quando un tizio ben vestito, con un ridicolo parrucchino, viene fatto uscire da quella che sembra la sede centrale dell’Fbi e portato via. Il pesce grosso che finisce in galera è, naturalmente, Donald Trump, mentre prima di lui cadono nella rete l’ex consigliere per la sicurezza nazionale Michael Flynn, la portavoce Kellyann Conway e il genero Jared Kushner.

Per chi non avesse capito che la satira si riferisce alle indagini sulla collusione fra Trump e i russi, non solo la colonna sonora è From Russia With Love, dall’omonimo film di James Bond del 1963, ma l’immagine finale è quella di una pubblicità degli anni ’60 modificata in «It’s Mueller time», ovvero è tempo che Robert Mueller, il magistrato che indaga sulle interferenze di Putin nelle elezioni del 2016, mandi i suoi agenti ad arrestare tutta la banda che si è impadronita della Casa Bianca.

Questo riassunto non rende giustizia al video che circola on line, piuttosto divertente, ma era necessario per capire il mondo di fantasia in cui i democratici americani vivono oggi: la loro sola speranza è che Trump scompaia per intervento divino, o per via giudiziaria. Purtroppo il partito, privo di leader e di linea politica, sembra non volersi rendere conto del fatto che Robert Mueller può essere licenziato in qualsiasi momento da Trump, perché il dipartimento della Giustizia negli Stati uniti fa parte dall’esecutivo, non è un potere autonomo come la magistratura italiana. Berlusconi non poteva far cessare le indagini della Boccassini, Trump può mettere fine a quelle di Mueller con una sola firma. Certo, ci sarebbe un prezzo politico da pagare, ma Trump può contare sul fatto che la sua base elettorale – minoritaria ma compatta – sarebbe entusiasta di un gesto simile: del resto dell’opinione pubblica a lui e ai repubblicani non importa.

Altro problema con la Disneyland dei democratici è il fatto che il presidente degli Stati uniti non può essere rinviato a giudizio, men che meno arrestato, prima di essere stato rimosso dalla sua carica attraverso una procedura di impeachment. Che deve non solo essere avviata dalla Camera (dove i repubblicani hanno la maggioranza) ma deve concludersi con un voto a maggioranza di due terzi del Senato: nei 230 anni di vita della costituzione americana, nessun presidente è mai stato rimosso dal suo incarico così.

Nel 1974 Richard Nixon si dimise avendo perso l’appoggio del suo partito, ma non è affatto sicuro che un eventuale processo si sarebbe concluso con la sua destituzione. Il motivo è semplice: la costituzione esige un amplissimo consenso per rimuovere il presidente, consenso che nell’attuale fase di polarizzazione politica non esisterebbe neppure se comparisse il video di Trump e Putin insieme in una sauna intenti a baciarsi.

I democratici, oggi in minoranza in entrambe le camere, sembrano aver dimenticato che l’Fbi non è precisamente il migliore alleato dei lavoratori, delle donne e delle minoranze etniche. Robert Mueller sarà magari una brava persona ma storicamente l’Fbi è stato lo strumento per distruggere i sindacati, intimidire i politici progressisti, difendere la segregazione razziale. Tutto questo in nome della lotta contro lo spionaggio russo, un pretesto che oggi si cerca di resuscitare con argomenti piuttosto deboli. Prima che Martin Luther King fosse assassinato, per esempio, l’Fbi aveva cercato di costringerlo al suicidio, rendendo pubbliche le registrazioni audio dei suoi incontri intimi con donne che non erano sua moglie. Il piano fallì solo perché la stampa Usa degli anni Sessanta rifiutò di sollevare lo scandalo, al contrario di quella che oggi si delizia dell’ondata di maccartismo sessuale dilagata dopo le rivelazioni sul produttore Harvey Weinstein.

Hillary Clinton pensava che dopo la pubblicazione delle vanterie del Trump-Dongiovanni la candidatura di quest’ultimo fosse condannata: l’anno scorso è avvenuto il contrario e quest’anno i democratici stanno ripetendo l’errore in Alabama, dove oggi si vota per un seggio di senatore. Il candidato dei repubblicani è Roy Moore, un personaggio bizzarro, oltre che politicamente impresentabile, ma i democratici hanno impostato interamente la campagna sulle accuse di molestie sessuali avanzate da varie donne contro di lui. I sondaggi dicono che questa strategia è destinata al fallimento oggi come lo era stata nel 2016: puritanesimo e alleanza con l’Fbi non faranno resuscitare un partito a encefalogramma piatto.