Il direttore dell’Fbi James Comey e quello della Nsa Michael Rogers hanno testimoniato ieri di fronte alla commissione dei servizi segreti della Camera, durante una rara audizione pubblica dove il tema principale è stato l’indagine in corso sull’ingerenza russa nelle elezioni americane che hanno visto Trump vincitore. Per la prima volta, Comey ha confermato ufficialmente e pubblicamente che l’Fbi sta indagando su questo tema, compresi eventuali collegamenti tra Mosca ed i funzionari della campagna Trump.

COMEY HA AFFERMATO di essere stato autorizzato dal Dipartimento di Giustizia a rendere pubblica la circostanza, mentre solitamente l’Fbi non si esprime sulle inchieste in corso. Nella stessa audizione Comey ha smontato l’accusa di Trump a Obama di averlo spiato: per l’Fbi non c’è «alcuna informazione» a sostegno delle accuse di intercettazioni ai suoi danni lanciate dal presidente nei confronti del predecessore. Il direttore della Nsa ha sua volta affermato che neanche l’intelligence britannica ha mai spiato Trump.

Sia Comey che Rogers, rispondendo alla domanda del presidente della commissione d’intelligence della Camera, il repubblicano Nunes, hanno dichiarato che gli hacker russi «non hanno direttamente alterato i risultati elettorali negli swing states», gli Stati chiave per la vittoria elettorale di Trump a novembre, e che «non ci sono prove di interferenze russe nel conteggio dei voti in Michigan, Pennsylvania, Wisconsin, Florida, North Carolina e Ohio».

CIÒ CHE AVREBBE FATTO PUTIN, ha detto Comey, è stato favorire il candidato repubblicano, a lui più congeniale, screditando Hillary Clinton: «Putin odia il segretario Clinton», ha affermato, mentre preferisce avere a che fare con uomini d’affari, come Berlusconi e Trump. Ha poi aggiunto che queste interferenze accadranno nuovamente alle prossime elezioni.

Durante tutta l’udienza l’atteggiamento dei repubblicani e dei democratici è stato molto differente: mentre i democratici si sono concentrati sull’inchiesta in corso, i repubblicani hanno fatto domande per lo più sulle fughe di informazioni potenzialmente classificate, ripetendo il mantra di Trump secondo il quale gli sforzi dell’Fbi dovrebbero concentrarsi sull’investigare la proliferazione dei leaks.

SIA ROGERS CHE COMEY hanno risposto dicendosi preoccupati per le molteplici fughe di informazioni, tuttavia Comey non ha dato nessuna garanzia che queste diverranno oggetto di indagine; entrambi i direttori hanno glissato su molte domande riguardanti parti specifiche delle attività di sonda o di sorveglianza, dicendo di non poterne discutere pubblicamente, e ripetutamente rifiutato di commentare domande su persone specifiche, tra cui l’ex consigliere per la Sicurezza Nazionale Flynn e l’alleato di Trump, Roger Stone.

QUELLO CHE IN MOLTI si chiedono è cosa ha determinato questa inversione di tendenza di Comey che a ottobre, proprio a ridosso delle elezioni, riaprì di colpo l’inchiesta sulle email segrete di Clinton, inchiesta da lui stesso dichiarata chiusa a luglio e senza incriminazioni. Poco dopo l’inchiesta venne nuovamente chiusa e non ci sono prove di quanto la riapertura abbia influito sull’immagine della candidata, ma di certo non l’ha aiutata.

Nello stesso periodo pre-elettorale, l’Fbi fu troppo cauta nel denunciare il Russia-gate che avrebbe invece screditato Trump. Forse ora Comey, in questa amministrazione ingovernabile, ha bisogno di alleati e di riaccreditarsi agli occhi dei democratici e dell’opposizione repubblicana interna di conservatori come John McCain.

Oltre a quella di Fbi e Nsa, lunedì c’è stata anche un’altra udienza, quella al Senato per la conferma di Neil Gorsuch a giudice della Corte Suprema.

SE PER TED CRUZ e la maggior parte dei repubblicani Gorsuch è super legittimato, per i democratici votare per Gorsuch, scelto da Trump per sostituire Scalia, rappresenterebbe «una cortesia che i repubblicani al Senato hanno negato al giudice Garland», che era invece stato scelto da Obama, così come ha dichiarato il senatore dell’Illinois, Richard J. Durbin,

Durbin ha portato come argomento la rivelazione che il giudice Gorsuch, quando nel dicembre 2005 era un funzionario del Dipartimento di Giustizia, è stato coinvolto in uno scandalo riguardante una legge per l’applicazione della tortura: il presidente George W. Bush forzò le procedure durante il suo secondo mandato, ma Gorsuch non si oppose.

«SI È SCOPERTO che eri profondamente coinvolto in questa pratica di approvazione forzata senza precedenti di una legge – ha detto Durbin – Ora abbiamo bisogno di sapere che cosa faresti se dovessi essere chiamato a resistere a questo presidente».