Gli Stati Uniti non credono che il primo ministro dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) Salam Fayyad sia sul punto di dimettersi. E’ più un avvertimento che una notizia quanto ha detto ieri un funzionario del Dipartimento di Stato Usa parlando a margine della riunione dei ministri degli esteri del G8 a Londra. «(Fayyad) Non sta per presentare le sue dimissioni per quanto io sappia», ha affermato. «Non lo sta facendo». Washington mette in guardia dal lasciare l’incarico il premier dell’Anp che, nella sera di mercoledì, avrebbe consegnato una lettera di dimissioni all’ufficio del presidente Abu Mazen. Letterà che sarà esaminata dal presidente al ritorno a Ramallah dal suo tour all’estero.

Fayyad è il principale punto di riferimento nell’Anp per gli Stati Uniti e l’Europa. Il terminale degli aiuti internazionali al governo palestinese, il garante per tutti i Paesi donatori. Il premier, un indipendente, tuttavia non piace a Fatah, il partito di Abu Mazen, che ne chiede l’uscita di scena per dare spazio ad un governo politico e, forse, a quell’esecutivo di unità nazionale con il movimento islamico Hamas del quale si parla invano da almeno quasi due anni. L’anno scorso il leader di Hamas, Khaled Meshaal e Abu Mazen raggiunsero un accordo per la formazione di un governo di tutte le forze politiche palestinesi, presieduto dallo stesso presidente dell’Anp. Ma il progetto fu silurato dai comandanti militari del movimento islamico che non hanno alcuna voglia di cedere anche solo una frazione del controllo di sicurezza di Gaza a vantaggio «di quelli di Ramallah». E dagli Stati Uniti e, in misura minore, dall’Unione europea per impedire il ritorno di Hamas al governo, fortemente osteggiato da Israele.

Secondo alcuni a spingere Fayyad a farsi da parte sarebbero state anche le dimissioni presentate, a causa delle pressioni di Fatah, dal suo braccio destro, il ministro delle finanze Nabil Qassis. Dimissioni accettate da Abu Mazen con grande sorpresa del premier che si è sentito direttamente colpito dal mancato appoggio del presidente. Molto più importante è la protesta intermittente di decine di migliaia di dipendenti pubblici, mobilitati dai sindacati di Fatah, contro il governo a causa del mancato pagamento degli stipendi e per il carovita. Il premier a prima vista non è colpevole della mancanza di risorse – Israele per mesi ha congelato i fondi palestinesi, derivanti dalla raccolta dei dazi doganali e di tasse per conto dell’Anp -, ma molti lo chiamano in causa per la sua politica economica liberista.

Fayyad, un ex funzionario della Banca Mondiale e del FMI, molto rigoroso nei conti pubblici, negli ultimi due anni ha aumentato le tasse come mai era accaduto in passato, pur di ridurre il deficit. Peraltro mancando il suo obiettivo (il disavanzo previsto per il 2013 è di 1,4 miliardi di dollari su un budget dell’Anp di 3,8 miliardi). La scorsa settimana il Consiglio rivoluzionario di Fatah aveva diffuso una nota dai toni insolitamente pesanti: «Le politiche del governo sono improvvisate e confuse in molte questioni finanziarie ed economiche». Una dichiarazione di sfiducia da parte del principale partito che sostiene l’Anp che Fayyad non ha potuto ignorare.