Una parte dentro una parte, il piccolo all’interno di qualcosa di più grande, senza che necessariamente il più grande sia disposto all’accoglienza e senza che il più piccolo accetti di interpretare il ruolo dell’accolto. È da questa squilibrata teoria degli insiemi che prende avvio Enclave, film diretto dal regista serbo Goran Radovanovic, noto per i suoi documentari e per The Ambulance, opera prima del 2009.

In questo secondo film, vincitore del Bergamo Film Meeting e distribuito da Lab 80 Film, Radovanovic parte da Vrelo, un villaggio albanese nel Kosovo dilaniato dalla guerra terminata da pochi anni. In una frazione del paese abita un ragazzino, Nenad, con il padre e il nonno prossimo alla morte. Questo minuscolo nucleo famigliare, seguace della chiesa ortodossa e di origine serba, vive in mezzo alla popolazione albanese di fede musulmana. La fine della guerra, in quella regione ha sancito la supremazia di un gruppo su un altro.

E Nenad, per andare a scuola, è costretto ogni giorno a farsi dare un passaggio da un carrarmato del Kfor. Sono forze di pace, nel caso specifico guidate da soldati italiani, che girano con mezzi blindati, giusto per mettere in chiaro cosa significhino espressioni come pace e fine del conflitto.

Sin dalle prime immagini prendiamo atto che Nenad è solo. Alla lezione dalla maestra non ci sono compagni di scuola. Nel tragitto non può che comunicare a gesti con i soldati che parlano altre lingue. Il nonno che gioca con lui non è più in grado di esprimersi. Il pope è protettivo ma interessato soprattutto all’arrivo della nuova campana. Il padre, severo e indurito dall’accerchiamento, si limita a rimproveri e punizioni con tanto di cinghiate.

In questo contesto, vi sono pure tre ragazzini albanesi istintivamente portati a fare amicizia ma guidati da un artefatto senso di avversità nei confronti di un bambino che a un certo punto non può far altro che affermare la sua totale estraneità alla guerra e alle barbarie che ne sono derivate: «Io non ho ucciso nessuno», dirà Nenad, quasi infastidito, a Bashkim, un coetaneo il cui padre è stato ammazzato dai serbi.

Enclave mira dritto all’obiettivo slittando dal realismo iniziale a una sorta di favola amara. Due comunità, irretite nel loro piccolo mondo costruito interamente su restrizioni e sulla rigorosa assenza di pensiero, sono destinate a permanere in uno stato di guerra anche in tempo di presunta pace.