Cinque anni fa, nell’estate che precedeva le scorse elezioni regionali siciliane, i candidati in campo erano Rosario Crocetta, Nello Musumeci, Giancarlo Cancelleri e Claudio Fava, che poi a un mese dal voto fu costretto a rinunciare perché aveva trasferito troppo tardi la residenza in Sicilia. Questa volta invece, dovendosi escludere un altro errore del genere, Fava come candidato della sinistra ci sarà. E ci saranno anche tutti gli altri: Cancelleri è già in campagna elettorale da settimane per il Movimento 5 Stelle, Musumeci sembra avviato a vincere il derby nel centrodestra contro il candidato civico Armao (che potrebbe fargli da vice), Crocetta ha ripetuto ancora ieri che sente l’obbligo di ripresentarsi, visto il modo in cui il Pd lo ha scaricato. E il Pd in alleanza con Alfano aggiungerà a questa lista il suo uomo, che a meno di colpi di scena a questo punto dovrebbe essere il rettore di Palermo Fabrizio Micari.

Proprio l’alleanza con Alfano è all’origine della rottura tra i democratici e i bersaniani di Mdp e Sinistra italiana. Malgrado i tentativi di Leoluca Orlando di riproporre in regione quell’alleanza larga da Alfano a Fratoianni che lo ha fatto vincere a Palermo. Niente da fare. Fava ha spiegato che «a Palermo c’era Orlando che si ricandidava per cercare una continuità amministrativa, qui invece si tratta di costruire una forte discontinuità con il presidente della Regione uscente, con la maggioranza che lo ha sostenuto e con il ruolo che anche Alfano ha avuto in questa maggioranza». Da una parte e dall’altra la sfida siciliana del prossimo 5 novembre è vista come l’anticipo della sfida delle politiche 2018, la prova generale delle future alleanze nazionali. «Non avevamo avanzato nessuna obiezione verso il candidato Micari, una persona perbene, ma avevamo detto che la coalizione non doveva essere definita in funzione di accordi romani con Alfano», ha spiegato Fava. «Invece – ha aggiunto – il Pd ha fatto della Sicilia carne da macello per trattative romane e questo è inaccettabile». Il riferimento è non solo alle alleanze future per il 2018, ma anche all’intesa su almeno due punti chiave ancora in piedi, due leggi il cui sacrificio suggellerà l’accordo Renzi-Alfano. La prima è una legge quasi fatta, quella sullo ius soli che avrebbe bisogno solo dell’ultimo passaggio al senato ma che Ap ha ottenuto di bloccare, la seconda è la legge elettorale, in teoria tutta da fare ma in concreto abbandonata per le nuove convenienze dei democratici e degli alfaniani, destinati a una formale alleanza al senato.
Il panorama delle candidature che si viene così delineando, oltre a favorire ulteriormente il candidato di Grillo, non risparmia ad alcuno l’accusa di incoerenza. Se dal Pd fanno notare come Mdp sia al governo con Alfano tanto a Roma quanto a

Palermo, e che lo stesso Giuliano Pisapia stia tentando di evitare la rottura tra renziani e bersaniani, da Mdp possono rispondere come proprio Pisapia sia stato tra i primi nella scorsa primavera giudicare Alfano «incompatibile» con il centrosinistra. Lo fa in particolare il leader isolano dei bersaniani, Angelo Capodicasa, che spiega come «a Roma è solo il carattere emergenziale della legislatura a tenerci nella maggioranza con Ap».
Eppure in Mdp non mancano le preoccupazioni per un esito del genere, anche ricordando che cinque anni fa la sinistra-sinistra si fermò alle regionali siciliane al 6%. Scontando però l’obbligata e tardiva rinuncia di Fava. Che questa volta invece ha già avuto il via libera dell’altro candidato in campo a sinistra, l’editore ed ex deputato Ottavio Navarra, da tempo indicato da Rifondazione ma disponibile al passo indietro.
Con Fava, attualmente deputato di Mdp e vice presidente della commissione antimafia, oltre a Mdp e Si ci saranno il Prc, i Comunisti italiani e Possibile. Sembra deciso, anche se ufficialmente Fava si è preso 24 ore per riflettere e scioglierà la riserva domani. Ma ieri sera proprio Capodicasa lo ha dato formalmente già in campo, segnale anche questo della discussione in corso a sinistra