Il procuratore Giuseppe Creazzo ha voluto precisare che l’arresto di Luigi Dagostino non è legato all’inchiesta su Tiziano Renzi e Laura Bovoli, genitori dell’ex presidente del consiglio, per i quali pende una richiesta di rinvio a giudizio, insieme peraltro allo stesso Dagostino, per due presunte fatture false da circa 150mila euro complessivi. Per certo Dagostino, 51 anni, con le false fatturazioni ha una certa pratica, almeno secondo le accuse della pm Christine von Borries che, oltre a chiedere e ottenere dal gip Frangini di inviarlo ai domiciliari nella sua bella casa nel centro di Firenze, gli ha sequestrato preventivamente 3 milioni di euro. La somma, appunto, che sarebbe il frutto di un’evasione fiscale.

Ancor prima di incontrare la famiglia Renzi l’imprenditore di origini pugliesi era considerato “il re degli outlet”, grazie al suo dinamismo del settore e ai rapporti, in particolare, con il gruppo Kering, multinazionale della moda che ha fra i suoi fiori all’occhiello la Gucci. Il successo commerciale dell’outlet The Mall di Reggello era stato il viatico per altri investimenti analoghi lungo la penisola. Ma l’affare che aveva portato Dagostino sulle pagine delle cronache era stato il tentativo, non andato a buon fine, di acquisire dalla Cassa depositi e prestiti il vecchio e ormai ex Teatro Comunale fiorentino, con l’intento di realizzare appartamenti di lusso in una zona di gran pregio, a pochi metri dal consolato Usa sulle rive dell’Arno. In parallelo Dagostino ha invece acquistato lo storico Caffè Rivoire di piazza Signoria, salvo poi cercare di rivenderlo negli ultimi mesi.

Secondo gli investigatori della Guardia di finanza, nelle denunce dei redditi societari riconducibili a Dagostino e ad altre due indagate, l’ex moglie Maria Emanuela Piccolo e l’attuale convivente dell’imprenditore Ilaria Niccolai, sono state allegate “fatture per prestazioni di servizi e cessioni di beni, fittizie, per diversi milioni di euro”. In particolare i finanzieri hanno puntato l’indice su una società di cui Dagostino risultava amministratore, la Andi di Figline Valdarno, cancellata nel 2016 dal Registro delle imprese di Firenze, e che ha utilizzato numerose fatture, per operazioni ritenute inesistenti da magistrati e fiamme gialle, in modo da costituire fittizi elementi passivi. Le fatture erano emesse da società pugliesi, tra cui la Building & Engineering di Barletta srl, amministrata da Leonardo Dimonte, la ditta individuale Ruggiero Rizzitelli di Barletta, che il gip nel suo provvedimento definisce come “cartiera”, e ancora la Bielle Costruzioni, Futura Costruzioni e House Builders, tutte di Barletta.

La ricostruzione investigativa ha convinto il giudice delle indagini preliminari Frangini, che ha disposto il sequestro preventivo di somme di denaro disponibili in conti correnti, beni immobili e mobili dei tre indagati. Nel complesso si tratta appunto di quasi 3 milioni (2.943.507 euro) a carico di Dagostino; 533.450 euro a carico di Maria Emanuela Piccolo, e 1.139.400 per Ilaria Niccolai. Le fatture false, secondo i finanzieri, erano state emesse per lavori edili, o anche noleggio di materiali per l’edilizia come i ponteggi, in realtà mai avvenuti. Nelle verifiche fatte gli investigatori hanno annotato la “totale mancanza di riferimenti precisi nei pagamenti”. Poi l’assenza di contratti, di appalto o subappalto, fra le società di cui sono stati incrociati i rapporti. Infine alcune testimonianze, fra cui quella di un tecnico di cantiere che ha spiegato, in alcuni casi, di non aver visto impegnate nel cantiere le società sotto inchiesta.