In un paese, il Libano, dove una buona porzione della popolazione guarda con ostilità la presenza dei profughi palestinesi, Elias Khoury è una voce controcorrente. Nei suoi romanzi ha raccontato i palestinesi con storie di individui e attraverso le loro rivendicazioni. Uno dei suoi romanzi più belli, «La porta del sole», ne è una dimostrazione. Per questo il suo giudizio ha grande valore per i palestinesi. In un articolo uscito ieri su Orientxxi, Khoury decreta la fine dell’era di Fatah, per decenni il più importante dei movimenti palestinesi. E attribuisce la causa della conclusione di questo percorso politico al presidente Abu Mazen che esorta a dimettersi per fare spazio a un rinnovamento che da troppo tempo bussa alla sua porta. «L’Autorità Palestinese (l’Anp di Abu Mazen) che ha ereditato il potere da Yasser Arafat ha piegato la spina dorsale per soddisfare il campo opposto e ottenere una parvenza di Stato a scapito della dignità del popolo palestinese» scrive Khoury. «Fatah è l’ombra di ciò che era» aggiunge «la presidenza palestinese ha cercato di sfuggire alla sua inevitabile fine posticipando le elezioni…È tempo che il presidente Mahmoud Abbas (Abu Mazen) e il suo gruppo si dimettano con onore, in modo da preservare il più possibile una storia a cui un tempo appartenevano».

Si moltiplicano le voci che chiedono ad Abu Mazen di farsi da parte, subito. Giorni fa quasi tremila accademici e intellettuali palestinesi hanno firmato un documento che è un feroce atto di accusa nei confronti di un presidente visibilmente incapace di affrontare la nuova fase che si è aperta nella vicenda palestinese in questi ultimi mesi, a partire dalla mobilitazione in difesa delle famiglie di Gerusalemme Est, a Sheikh Jarrah e Silwan, minacciate di espulsione dalle loro case per far posto a coloni israeliani. Una lotta che ha coinvolto anche i palestinesi in Israele e in Cisgiordania e che è sfociata in una escalation militare tra Hamas e Israele a Gaza. La base di Fatah è in ebollizione. «Ieri (martedì) mentre Gerusalemme (Est) subiva la Marcia delle bandiere degli israeliani alla Porta di Damasco e i nostri giovani erano picchiati e arrestati dalla polizia, Abu Mazen è rimasto muto. Anche chi è intorno a lui ha scelto il silenzio. Pensano soltanto al dialogo con gli americani a come prendere soldi dagli europei. Questo mentre la nostra gente accusa Fatah di non fare nulla quando Gerusalemme, la moschea di Al Aqsa e Sheikh Jarrah sono sotto attacco», si lamentava una nostra fonte palestinese, militante di Fatah da 40 anni. Ci ha chiesto l’anonimato perché criticare pubblicamente Abu Mazen può significare una convocazione da parte dell’intelligence, spesso anche l’arresto.   

La scelta del basso profilo da parte di Abu Mazen in una fase così delicata, anche sui bombardamenti aerei israeliani del mese scorso su Gaza (quasi 260 morti), ha creato un vuoto di potere che viene riempito da altre forze. Ad avvantaggiarsi sono soprattutto gli islamisti. Hamas non hai mai raggiunto nei sondaggi un sostegno così ampio come in questi giorni. Secondo un sondaggio del Palestinian Center for Policy and Survey pubblicato due giorni fa, il 53% dei palestinesi sono giunti alla conclusione che ormai sta a Hamas rappresentare la causa nazionale, mentre il sostegno a Fatah è calato al 14%. Il 77% pensa che Hamas sia uscito vincente dal confronto militare con Israele in «difesa di Gerusalemme e i suoi luoghi santi». Martedì Fatah si è fatta scavalcare persino dai Riformisti Democratici, la formazione che fa capo a Mohammed Dahlan, espulso dal movimento e diventato uno dei principali avversari di Abu Mazen. «Il presidente ha abbandonato Gerusalemme e Gaza» ci diceva ieri Dimitri Diliani, il rappresentante di Dahlan nella città santa «e la sua politica ha distrutto Fatah. È tempo di voltare pagina e dare sostegno a forze nuove. I Riformisti Democratici hanno dalla loro parte già i campi profughi».