A metà aprile era stato il segretario di Fatah in Cisgiordania Marwan Barghouti, dal carcere israeliano dove è rinchiuso dal 2002, ad esortare i vertici politici palestinesi a mettere da parte le divisioni e fare solo gli interessi del loro popolo. Un appello largamente condiviso dalla gente dei territori occupati ma che ha riecheggiato a vuoto nelle stanze del potere, ammesso che si possa consideralo tale, a Ramallah e Gaza. Gli ultimi sviluppi, avvenuti proprio nell’anniversario dell’accordo di “riconciliazione nazionale palestinese”, non fanno che confermare ciò che l’analista Abdalhadi Alijla ripete da tempo. La spaccatura tra Fatah e Hamas, tra il presidente dell’Anp Abu Mazen e i leader del movimento islamico, ha smesso da tempo di essere figlia di un conflitto ideologico e rappresenta ormai solo una guerra di potere.

Le elezioni del consiglio degli studenti dell’università di Bir Zeit e la recente “visita” del governo dell’Anp a Gaza, rivelano che le due parti non esitano a fare uso della (loro) “legge” e delle intimidazioni per colpirsi a vicenda. Abu Mazen ha sospeso tutte le elezioni previste negli atenei dopo la vittoria conseguita a Bir Zeit dalla lista studentesca islamica (Hamas), per la prima volta dal 2007, rompendo la tradizionale egemonia di Fatah nell’università che dista pochi chilometri da Ramallah. I rappresentanti del gruppo islamico hanno ottenuto 26 seggi, Fatah 19, il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina 5, un solo seggio è andato ai tre partiti minoritari della sinistra. Fatah in precedenza aveva vinto le elezioni nell’università di Al-Quds a Gerusalemme e in quella di Betlemme ma la sconfitta di Bir Zeit, una sua storica roccaforte, è stata bruciante. Il sito Dunia al Watan, espressione della base di Fatah, ha riferito in questi giorni di un feroce scambio di accuse tra i dirigenti del partito sulla responsabilità dell’insuccesso. In ogni caso Abu Mazen piuttosto che interrogarsi sulle ragioni della popolarità di cui gode Hamas in Cisgiordania (forse anche più che a Gaza) ha preferito sospendere le votazioni nelle rimanenti università. E nel frattempo la polizia dell’Anp non cessa gli arrestare militanti veri e presunti del movimento islamico, in linea con la cooperazione di sicurezza con Israele di cui peraltro il Consiglio centrale dell’Olp ha chiesto nei mesi scorsi l’interruzione immediata.

Aspettarsi un comportamento diverso da Hamas tuttavia è una illusione. Di elezioni studentesche negli atenei di Gaza non si sa nulla e i rivali di Fatah sono soggetti ad intimidazioni e arresti. Due giorni fa inoltre una corte di Gaza ha sospeso i risultati delle elezioni del sindacato degli avvocati (una delle rarissime votazioni tenute dal 2007 in questo piccolo lembo di terra palestinese), vinte largamente lo scorso 6 aprile dalla lista di Fatah. Non meno inquietante è il fatto che la delegazione governativa, con alcuni ministri, che nei giorni scorsi aveva raggiunto Gaza, sia stata tenuta isolata in un hotel presidiato da ingenti forze di sicurezza, senza la possibilità di incontrare in piena libertà gli abitanti e i rappresentanti delle altre forze politiche. Jamil Mizher, un membro dell’ufficio politico del Fplp, ha riferito che il 20 di aprile, agenti della sicurezza di Hamas gli hanno impedito di incontrare i ministri e che lo hanno lasciato passare dopo aver protestato per ore.

Una pressione che ha spinto i ministri a tornare indietro a Ramallah dopo appena giorno di lavoro su ordine del premier Rami Hamdallah. Alla base del dissidio c’è sempre la questione dei 40 mila dipendenti del dissolto esecutivo di Hamas a Gaza che il governo ora in carica non ha alcuna intenzione di assorbire nell’Anp, incurante delle conseguenze per tante famiglie palestinesi. Khaled al-Batsh, un membro dell’ufficio politico del Jihad Islami, ha ammesso il fallimento del tentativo della sua organizzazione di avvicinare le posizioni di Fatah e Hamas. L’accordo di riconciliazione resta un pezzo di carta.