Fatah e Hamas ci riprovano. Dopo gli scambi di accuse di queste ultime settimane, frutto anche delle tensioni causate dalla devastante offensiva israeliana contro Gaza, ieri al Cairo i due principali movimenti politici palestinesi hanno raggiunto un accordo per la ricostituzione di un governo di unità nazionale anche a Gaza. E’ una ricucitura che rilancia il ruolo dell’esecutivo tecnico guidato dal premier Rami Hamdallah nato ad inizio giugno – figlio della riconciliazione tra Fatah ed Hamas avvenuta fine aprile – che non aveva mai potuto estendere la sua autorità anche su Gaza. Per colpa di Hamas, ha protestato il presidente dell’Anp Abu Mazen accusando i dirigenti del movimento islamico di tenere in vita una sorta di “governo parallelo”. Parole rispedite al mittente da Hamas che, da parte sua, ha accusato Abu Mazen e Hamdallah di avere ignorato l’esistenza, e lasciato senza stipendio, ben 45mila dipendenti del disciolto governo islamico di Gaza. A deteriorare ulteriormente i rapporti tra le due parti è stata la cooperazione di sicurezza dell’Anp con Israele, nel caso del rapimento, lo scorso giugno, di tre giovani coloni, seguito da una massiccia campagna repressiva e di arresti dell’esercito israeliano in Cisgiordania che ha preso di mira dirigenti, deputati e attivisti di Hamas.

 

La questione dei dipendenti pubblici di Gaza sarebbe stata risolta, ha annunciato Musa Abu Marzuk, il capo della delegazione di Hamas. Ha aggiunto che il governo di consenso nazionale supervisionerà tutti i valichi per Gaza, incluso quello di Rafah (con l’Egitto) e del “Corridoio Philadelphia”. Le modalità di controllo dei valichi saranno decise anche dalle Nazioni Unite, oltre che dal governo palestinese, sulla base dell’esito dei colloqui con Israele per il prolungamento del cessate il fuoco. Da più parti si ritiene che la strategia unitaria non potrà che giovare al rafforzamento delle posizioni palestinesi nei confronti di Israele. Specie se l’obiettivo resta quello della revoca totale del blocco di Gaza e di nuove intese per l’ingresso nella Striscia dei materiali necessari per la ricostruzione. Come reagirà Israele a questa ricucitura tra Fatah e Hamas? Lo scorso giugno, il governo Netanyahu aveva lanciato attacchi durissimi al governo di unità nazionale palestinese nonostante da parte statunitense, europea e dell’Onu fosse arrivato un sostanziale via libera all’esecutivo.

 

L’intesa rafforza anche la posizione di Abu Mazen nell’imminenza del suo intervento davanti all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Il presidente palestinese intende chiedere al Consiglio di Sicurezza una risoluzione che fissi una scadenza precisa per il ritiro di Israele dai territori che ha occupato nel 1967. Altrimenti, minaccia, si rivolgerà alla Corte Penale Internazionale. Lunedì scorso Abu Mazen aveva invitato il mondo a pensare alla Palestina. «La comunità internazionale – aveva esortato – ha la responsabilità di proteggere le nostre persone che vivono sotto il terrore dei coloni e di un esercito. Lo dico oggi al premier israeliano Netanyahu: termina l’occupazione, fai la pace…Sicurezza equivale a giustizia». Parole che non hanno incantato il Segretario di stato Usa John Kerry che al presidente dell’Anp ha detto, riferiscono fonti ben informate, che i palestinesi possono scordarsi di ottenere qualcosa all’Onu e dal diritto internazionale e che devono negoziare bilateralmente con Israele.

 

Washington in ogni caso bloccherà con il suo veto una eventuale bozza di risoluzione del CdS, fondata sulle richieste palestinesi, ed è pronta solo a fare un po’ di beneficenza ai “terremotati” di Gaza. Ha annunciato che darà alla Striscia 71 milioni di dollari, che diventano in totale 118 se si tiene conto della donazione di 47 milioni promessa a luglio da Kerry. Pane e riso ma non libertà per palestinesi.