Gli hashtag girano da giorni sui social network: #Fastfoodglobal, #fightfor15, ma questa volta la mobilitazione non sarà solo riservata ai consueti «attivisti da tastiera», ma si svolgerà per le strade di 150 città.

Una protesta globale, mondiale, dei lavoratori simboli delle odierne società, ovvero i lavoratori delle catene dei fast food. Si tratta – secondo gli organizzatori – della più grande protesta contro l’industria alimentare della storia; 33 paesi, dagli Usa all’Argentina, dall’Italia alle Filippine, dal Brasile al Marocco, dal Giappone al Malawi. I protagonisti sono i fast food workers, sottomessi alla contemporanea catena di montaggio, caratterizzata dai ritmi vertiginosi, con poche pause, pochi diritti e stipendi da fame.

Eppure le aziende che sfruttano i lavoratori fanno i miliardi. I panini, gli hamburger, gli snack, vanno a ruba, hanno disintegrato economie alimentari locali, specie nei paesi in cui i fast food sono una recente scoperta permessa dalla globalizzazione. E più di tutto fanno lauti profitti perché i lavoratori sono mal pagati e quel che è peggio ricattati da regolamenti interni che non prevedono organizzazioni sindacali e possibilità di rivendicazioni. Negli Stati uniti le avvisaglie erano in atto da tempo; e oggi è giunto il momento mondiale, al termine di un percorso organizzativo che ha saputo consolidare tutti i lavoratori con poche e semplici parole d’ordine.

Ci sarà anche l’Italia: «Nel nostro paese, le condizioni di lavoro all’interno dei fast food non sono buone e non esiste contrattazione integrativa», ha affermato Cristian Sesena, che per la Filcams Cgil nazionale ha partecipato all’incontro organizzativo di New York e organizzato dallo Iuf, l’International Union of Food, Agricultural, Hotel, Restaurant, Catering, Tobacco and Allied Workers’ Associationism. «Già da un paio di anni, in contrapposizione a quanto pubblicizzato da molti famosi marchi internazionali, come Filcams abbiamo avviato un percorso per cercare di mettere in risalto la reale situazione dei lavoratori, per la maggior parte giovani, a part time obbligatorio, con una paga minima oraria inferiore agli 8 euro lordi», spiega, mentre «negli Usa si combatte per ottenere una paga oraria di 15 dollari» (da cui l’hashtag #fightfor15 ndr).

Uno dei principali obiettivi della protesta, sia per le richieste di aumenti salariali, sia per il diritto di formare sindacati, è senza dubbio la McDonalds, particolarmente preoccupata dall’azione mondiale, tanto da mandare una lettera ai propri dipendenti e intercettata alcuni giorni fa dal Wall Street Journal, nella quale si chiedeva di monitorare quanto accadrà oggi. «Le persone ora si organizzano, è tempo di cambiare» ha raccontato all’Afp Elizabeth Rene, lavoratrice di 24 anni di un McDonald.

Oggi parteciperà al suo terzo sciopero in due anni. «Stiamo affrontando le stesse sfide, ci troviamo di fronte gli stessi problemi, le stesse lotte. Continueremo fino a raggiungere il nostro obiettivo», ha dichiarato l’italiano Massimo Fratini, coordinatore per lo Iuf, che rappresenta 396 sindacati e 12 milioni di lavoratori per un totale di 126 paesi.