Quasi 500 manifestanti arrestati in tutta America, fra cui un parlamentare del Wisconsin, Gwen Moore. È il bilancio della sesta giornata di mobilitazione per i salari nei fast food in America. La protesta, che ha preso la forma di sit-in davanti ai franchise di Chicago, Las Vegas, Detroit, New York, Little Rock e 150 altre altre città americane, è stata coordinata dal sindacato Seiu, che ha organizzato le azioni di disubbidienza civile per sensibilizzare l’opinione pubblica su una delle categorie emblema della dilagante sottoccupazione e del lavoro precario su cui in larga parte è predicata la ripresa americana.

Come molti ipermercati big box (e fino a qualche anno fa l’industria del credito trash responsabile della bolla immobiliare e della recessione globale), i fast food estraggono utili giganteschi dallo stesso target di neo-poveri da cui assumono i propri impiegati, e come accade con alcune corporation come Wal-Mart, sono rigorosamente non sindacalizzati, con i prevedibili abusi salariali.

La vertenza sui fast-food è cominciata un paio di anni fa a New York ed è diventata un movimento nazionale per l’aumento della paga sindacale di cui è fautore anche Obama. All’atto pratico le normative sui salari minimi dipendono però dalle amministrazioni locali (Washington ha giurisdizione unicamente su quelli degli statali).

In seguito alle proteste, alcune municipalità, come Seattle, hanno recentemente istituito una paga minima di 15 dollari l’ora, una simile proposta è all’esame a San Francisco. Agli aumenti sono fortemente contrarie invece le associazioni degli esercenti, di solito piccoli imprenditori che gestiscono le filiali in franchising per conto delle corporation.

La McDonald’s è stata particolarmente attiva nell’opposizione al movimento. In una nota rilasciata questa settimana il gigante di Oak Brook, Illinois, ribadisce che pur nel «rispetto di una vita dignitosa per i nostri lavoratori, deve essere la concorrenza di mercato a determinare i salari». In realtà le grandi corporation dei panini sono contrarie a ogni tentativo di sindacalizzazione dei lavoratori che hanno ogni interesse a mantenere come vasto bacino di manovalanza a buon mercato.

Il salario medio di un lavoratore di fast food in America è da soglia di povertà: 9 dollari l’ora, ma può scendere fino ad appena 7,50. Gli impieghi nel settore sono tradizionalmente considerati fonte di occupazione per addetti entry-level, con l’accesso ad impieghi part-time ad esempio per adolescenti e studenti.

Nella realtà, specie quella determinata dal «riallineamento verso il basso» causa crisi, la grande maggioranza dei fast food oggi impiega adulti, capi famiglia, donne e immigrati che stentano a sopravvivere con le misere paghe, e sono costretti al doppio e triplo lavoro per sbarcare il lunario.

L’entrata in campo al loro fianco di un sindacato come la Seiu, che rappresenta milioni di alberghieri e lavoratori sanitari in tutto il paese, ha ridato vigore al movimento dei precari simbolo dell’economia della new poverty , caratterizzata da sottolavoro e disuguaglianza.