Piero Fassino, si sa, ha un caratteraccio. Mal disposto come pochi alla sconfitta, soprattutto dopo una lunga carriera fatta prevalentemente di dedizione alla causa. Un forte mediano che voleva fare il bomber, e si ritrova a fine gara con una sconfitta cocente che non premia i pregi del suo lavoro: almeno questa è la percezione che si è avuta durante la conferenza stampa di commiato dell’ex sindaco in cui mal cela il rancore per un esito che reputa «ingiusto», premiante una giovane donna che, secondo lui, godrà del lavoro già impostato dalla sua giunta.

«Al nuovo sindaco – spiega Fassino – consegno una città in piedi. Che è stata governata e che si è aperta al mondo, una città che raccoglie riconoscimenti. È questa la città che eredita, non è la Calcutta che ha disegnato in campagna elettorale. Per governare Torino suggerisco ad Appendino di darsi un programma. Coi i “no” della campagna elettorale si fa opposizione, si conquistano anche voti, ma non si governa».

La neo sindaca non risponde, come da strutturata consuetudine. E così fa il gruppo che la circonda. L’ultimo segretario dei Ds, uno dei protagonisti della battaglia ai cancelli della Fiat nel 1980, promette tutto tranne che un’opposizione malleabile, e colpisce su uno dei punti forti di Appendino, nell’evidente tentativo di screditarla di fronte all’elettorato della val Susa: «La Tav è un problema che riguarda altri? Non può cavarsela così, visto che invoca la trasparenza, rispetto a quelli che domenica notte sventolavano la bandiera in piazza Palazzo di Città. E non può cavarsela così visto che il sindaco di Torino è anche il sindaco della Città Metropolitana».

Solo il giorno prima Chiara Appendino, ribadendo la contrarietà alla Torino – Lione, aveva confermato che non sarebbe uscita pregiudizialmente dall’Osservatorio, riservandosi tale decisione dopo aver capito quali siano gli spazi politici presenti in esso.

La notte di domenica il trionfo dei militanti Cinque stelle ha dilagato dentro il palazzo del Comune, dove la bandiera con il treno crociato è stata sventolata come simbolo di vittoria sul cosiddetto «sistema Torino». Manifestazioni di giubilo non passate inosservate.

Fassino renderà la vita molto complicata alla prossima sindaca, e la conferenza stampa di ieri rappresenta l’annuncio di un confronto che, a tratti, dilaga nella promessa di una battaglia personale.
Sguardo torvo, tono di voce risoluto, ha annunciato che non farà il capogruppo ma il semplice consigliere comunale. Per la neo sindaca sarebbe stato più semplice se gli fosse stato affidato un incarico internazione, lontano da Torino. Ma l’uomo pare essersi appassionato alla prossima legislatura comunale, pare aver riscoperto antichi ardori di gioventù.

Per Piero Fassino il pericolo è che quanto costruito negli ultimi cinque anni sia messo a rischio dalla nuova giunta, e sorprendentemente lancia un affondo contro «l’invidia sociale» sparsa dalla sua rivale. «Il tema delle periferie è stato usato come un clava, secondo lo schema quelli in centro hanno ciò che non c’è nelle periferie. Una falsità. Non c’è nulla di più pericoloso dell’invidia sociale, così si divide la società». Un passaggio che tradisce la profonda frustrazione per il voto delle periferie, dove i Cinque stelle – e l’astensione – hanno dilagato, travolgendo ogni resistenza del Partito democratico.

Alla domanda finale «c’è qualcosa che farebbe in modo diverse?», posta evitando accuratamente la parola «errore», l’ultimo segretario del Ds, risponde: «Sono domande che non mi appassionano. Quando si è caricati di responsabilità così grandi, non mi pare che sia appassionante l’esercizio dell’autocritica che appartiene a riti di un’altra epoca politica».