Fassina, lei e altri della minoranza Pd partecipate alla manifestazione della Cgil criticando Renzi per l’adesione alle politiche di austerità, lui intanto litiga con l’Ue in nome della flessibilità.

Sta solo cercando qualche spazio di manovra. Il disegno di legge di stabilità è nel solco della politica economica liberista e di svalutazione del lavoro che da dieci anni viene praticata nell’Eurozona.

E allora perché le critiche di Bruxelles all’Italia?

La Germania e la grande finanza non hanno cambiato linea e la difendono con vigore, anche scostamenti minimali diventano occasione di scontro. Ma se guardiamo ai fatti, cioè alle tabelle della legge di stabilità, la manovra italiana ha un forte segno regressivo e recessivo.

Ma il taglio delle imposte?

Non è ampio come dice il governo, perché accanto ai tagli ci sono gli aumenti, l’anticipo del Tfr tassato ad aliquota marginale e la cancellazione della riduzione Irap. I tagli alla spesa impatteranno sui servizi sociali fondamentali: trasporto pubblico locale, asili nido, mense scolastiche e assistenza. Anche nelle poste minori ci sono misure che peggiorano la qualità della vita dei cittadini e quindi hanno effetti recessivi sull’economia, come la riduzione del fondo per i disabili.

Renzi dice: manovra espansiva.

Invece è evidentemente restrittiva, visto che il debito sul Pil quest’anno è alla soglia del 3% e per il 2015 è previsto al 2,7-2,8%. In più com’è noto il moltiplicatore della spesa è molto più elevato di quello delle entrate: finanziare minori tasse con minori spese avrà effetti macroeconomici negativi.

Come si poteva rispondere ai guardiani di Bruxelles?

Avendo il coraggio di fissare obiettivi di indebitamento pubblico superiori di un punto di Pil, sforare il 3% solo per il 2015 e utilizzare le maggiori risorse per sostenere investimenti produttivi. Soprattutto le piccole opere di ristrutturazione e messa in sicurezza delle scuole e del territorio a carico di comuni, province e regioni. Hanno un alto impatto sull’occupazione.

Nessun governo precedente l’ha fatto, neanche quello in cui lei era viceministro dell’economia.

Vero, tant’è che il Pd ha voluto cambiare governo per «cambiare verso». Renzi avrebbe potuto utilizzare meglio il semestre di presidenza italiana in questo quadro di deflazione generalizzata, drammatico per l’occupazione.

Invece?

Ha girato a vuoto, ha cercato piccoli spazi di flessibilità e non ha fatto l’operazione verità sulla insostenibilità dell’euro nel quadro del mercantilismo liberista.

L’euro è insostenibile?

Senza una correzione di rotta l’Europa andrà a sbattere, ma le condizioni per questa correzione non ci sono. Quindi dobbiamo preparare una soluzione cooperativa per il superamento dell’euro.

«Superare» l’euro non vuol dire cambiare politica economica, vuol dire cambiare moneta.

Vuol dire cambiare l’assetto monetario. Siamo franchi: non ci aspetta un graduale miglioramento delle condizioni economiche dell’Eurozona. Dopo sette anni di recessione siamo in stagnazione e dalla Germania non arrivano segnali di apertura. O siamo in grado di pensare a un piano B, o regaleremo l’Europa alle destre.

Il circolo renziano dice che la manifestazione della Cgil sarà pura protesta e monologo.

Sono male informati, l’one man show sarà alla Leopolda. A Roma vedremo centinaia di migliaia di donne e uomini che sono un pezzo del nostro popolo, il Pd deve ascoltarli con attenzione.

Tra S. Giovanni e Firenze si spacca solo il gruppo dirigente o anche il partito, in profondità?

La frattura l’ha creata il governo con un intervento sul lavoro distante dalle nostre proposte. E Renzi che con il jobs act ha scelto la piattaforma dei conservatori europei e nostrani. È ancora lui che approfondisce la spaccatura con la legge di stabilità. Ho sentito che il Pd accoglierà gli ex montiani. Se l’asse programmatico sarà quello di Ichino e Sacconi siamo fuori strada.

Che farà lei quando il governo metterà la fiducia anche alla camera sulla delega lavoro?

Senza una radicale correzione, inclusa la parte che riguarda l’articolo 18, non voto la delega, fiducia o non fiducia. La legge di stabilità mi dà argomenti in più: le risorse per estendere gli ammortizzatori sociali ai precari dovevano essere aggiuntive rispetto a quelle per la cassa integrazione in deroga, e invece ci sono in tutto meno fondi di quest’anno. Gli annunci sulla lotta alla precarietà erano propaganda.

Dunque sfiducia?

Se fossi costretto, e me ne assumerei la responsabilità. Tutti i parlamentari del Pd sono stati eletti sulla base di un programma che prevedeva il contrasto, non l’aggravamento, della precarietà.

Ma, direbbe Renzi, il Pd non ha vinto le elezioni.

Giusto, ma in contesti politici peggiori rispetto a oggi, governo Letta con tutto il Pdl in maggioranza o persino Monti a palazzo Chigi, non abbiamo ceduto sui punti fondamentali e abbiamo segnato il compromesso evitando di cancellare tutele fondamentali. La posizione di Renzi è una scelta politica chiara, una rottura che non può essere giustificata con il contesto.

E dopo la rottura?

Anche la legge di stabilità sarà un passaggio difficile, ha gli stessi problemi del jobs act. Dopo di che dobbiamo costruire una piattaforma di incontro tra energie sociali e politiche, indipendentemente dalla collocazione partitica, per arrivare a condividere una lettura critica della fase e definire un nuovo progetto per l’Italia e l’Europa.