Sono ancora aumentate le vittime di Covid-19 registrate in 24 ore. Sono state 382 ieri, e solo due giorni fa erano scese a 260. Ma una volta messe in conto le oscillazioni a cui ormai dovremmo esserci abituati, e al di là di un numero di decessi a cui assuefarsi è impossibile, non dovrebbe essere un campanello d’allarme sulla ripresa del contagio.

I nuovi casi positivi censiti infatti sono circa 2090, più del giorno prima ma comunque in calo rispetto alla scorsa settimana. Il dato di oggi infatti non è influenzato dal numero dei tamponi. Ieri se ne sono fatti 57 mila, molti più dei 32 mila di domenica. E la disponibilità di posti letto in ospedale è aumentata di altre 700 unità. Il fatto che i decessi saranno l’ultima cifra a calare è stato spesso sostenuto dai tecnici del Comitato scientifico, che citano l’effetto di «trascinamento» per spiegare che i decessi di oggi dipendono dai contagi avvenuti anche tre o quattro settimane fa, e dunque non possono essere presi a termometro della situazione.

PER VALUTARE la situazione conviene osservare i dati settimanali, meno suscettibili alle fluttuazioni giornaliere. In questo modo, a livello nazionale si osserva che il numero di nuovi casi tra una settimana e l’altra è calato del 18% circa, e quello dei decessi del 24%. Il numero dei tamponi è aumentato solo del 5%, dunque i cali appaiono piuttosto solidi.

Il calo però è piuttosto disomogeneo. Il Piemonte questa settimana ha superato l’Emilia-Romagna per numero di contagi, ma ha visto diminuire i nuovi casi del 18%. Più consistente il rallentamento dei casi in Veneto (-33%) e Toscana (-42%). Nella regione più colpita, la Lombardia, i nuovi contagi sono diminuiti solo del 3% mentre è in controtendenza la Liguria, dove i casi aumentano del 5%. I numeri ancora rilevanti, anche se in frenata, sono alla base delle scelte prudenti del governo sulla fase 2 al netto dell’assenza di programmazione innanzitutto sull’istruzione.

OLTRE AI NUMERI, la prudenza è stata consigliata anche dalla relazione scientifica fornita a Conte dagli esperti del Comitato tecnico scientifico circolata su diversi siti nella giornata. Secondo i tecnici che hanno stilato il documento – verosimilmente una collaborazione tra Istituto Superiore di Sanità, Inail e Fondazione Bruno Kessler – l’apertura delle scuole avrebbe avuto un impatto deleterio per il contenimento del contagio e probabilmente causato una nuova ondata epidemica.

Colpisce, tuttavia, una differenza. Per le attività produttive sono stati elaborati scenari differenziati per settori da aprire (manifattura, edilizia, commercio, ristorazione) e ipotizzando di tenere a casa lavoratori di diverse fasce di età. La scuola è stata invece considerata come un corpo unico di otto milioni di studenti e un milione di insegnanti. L’apertura di scuole diverse per età degli alunni avrebbe comportato notevoli differenze sul piano dell’organizzazione del lavoro e delle famiglie. E avrebbe permesso di riequilibrare almeno in parte il peso del lockdown ricaduto sulle donne più che sugli uomini.

NEL COMPLESSO, gli scenari mostrano una notevole differenza nell’impatto tra le varie attività che scandiscono la nostra giornata. Oltre alle scuole, anche le attività che aumentano i contatti in comunità (cioè fuori dal posto di lavoro e dalla famiglia, come la ristorazione e il commercio) secondo i tecnici avrebbero il risultato di riportare l’epidemia sopra la soglia di controllo se venissero riaperte. Queste attività, prosegue il documento, potrebbero essere riaperte solo se si contenesse la trasmissione del virus tra gli ultrasessantenni.

Per frenare il contagio, scrivono in conclusione, è necessario diminuire del 20% il numero di contatti a rischio contagio rispetto alla norma. Le mascherine, l’igiene, il distanziamento, la app «Immuni» e una maggiore consapevolezza diffusa del rischio epidemiologico potrebbero giocare dunque un ruolo decisivo, anche più di blocchi e divieti.