Disprezzo della democrazia parlamentare, appello alla piazza, ricerca dell’«uomo forte», primato della sovranità nazionale, ostilità verso i migranti. Emilio Gentile, uno dei maggiori storici del Ventennio e della cultura fascista, non tralascia alcuno dei punti intorno ai quali ci si interroga oggi, non soltanto nel nostro paese, per analizzare il presunto «ritorno» del fascismo. Proprio per questo la risposta che il professore emerito della Sapienza dà nel suo Chi è fascista (Laterza, pp. 136, euro 13) a tale quesito, non potrebbe essere più netta.

Per Gentile infatti non solo non ha alcun senso anche solo l’immaginare una tale eventualità, anche se in forme nuove, ma tutto ciò rischia di distogliere l’attenzione generale «da altre minacce, queste veramente reali, che incombono sulla democrazia». Tra queste, lo storico identifica soprattutto la possibilità che «il governo del popolo, dal popolo, per il popolo» si trasformi «in una democrazia recitativa, dove il popolo sovrano è chiamato periodicamente a esercitare il diritto di voto, come una comparsa che entra in scena solo al momento delle elezioni, per poi tornare dietro le quinte, mentre sulla scena dominano caste, oligarchie, consorterie, generatrici di diseguaglianza e corruzione».

Tra gli argomenti di Gentile ricorre in particolare la critica delle tesi del Fascismo eterno, espresse da Umberto Eco in un discorso pronunciato il 25 aprile del 1995 alla Columbia University, quindi apparso sulla The New York Review of Books e pubblicato lo scorso da La nave di Teseo (pp. 52, euro 5) nella serie di agili volumetti dedicati agli interventi «politici» del celebre semiologo. Nelle parole di Eco si evidenziava come, al di là delle caratteristiche specifiche e perciò irripetibili dei fenomeni storici, possa esistere un «ur-fascismo, un fascismo eterno», definibile attraverso «una lista di caratteristiche tipiche» che vanno dallo «sfruttare la naturale paura della differenza trasformandola in razzismo», dal tentativo di definire una «comunità nazionale» in virtù dei nemici che dovrebbe combattere, fino all’«ossessione del complotto», per non citarne che alcune.

L’appello di Eco insisteva perciò sull’idea che non il fascismo in orbace, ma le sue idee e retoriche potessero tornare a manifestarsi anche in seno alla democrazia. «Sarebbe così confortevole, per noi, se qualcuno si affacciasse sulla scena del mondo e dicesse: “Voglio riaprire Auschwitz, voglio che le camicie nere sfilino ancora in parata sulle piazze italiane!” Ahimè, la vita non è così facile», spiegava l’autore de Il nome della rosa, prima di concludere: «L’ur-fascismo può ancora tornare sotto le spoglie più innocenti. Il nostro dovere è di smascherarlo e di puntare l’indice su ognuna delle sue nuove forme – ogni giorno, in ogni parte del mondo».