Milano modello dello sport fascista da applicare sul territorio nazionale negli anni Trenta, quelli del consenso al regime di Mussolini, i cui segni si riscontrano ancora oggi in alcune federazioni del Coni. Felice Fabrizio è presidente onorario della Società italiana di storia dello sport e autore di Andare verso il popolo. Fascismo e sport a Milano negli anni Trenta ( Aracne, 13 euro).

Perché un libro su sport e fascismo a Milano?

Il libro riguarda gli anni del consenso, il periodo in cui il sistema sportivo fascista è a regime e funziona al massimo del suo potenziale. Le società sportive sono sottoposte a un controllo spietato, c’è una doppia catena di comando, che comprende il controllo tecnico-sportivo e organizzativo, e quello politico. E’ un sistema che prevede una macchina organizzativa efficiente, che ha delle benemerenze.

Quali?

Nel contesto milanese lo sport viene sapientemente esteso agli strati sociali che fino ad allora erano rimasti esclusi: le donne, i giovani, gli operai. Viene attuata una politica di costruzione degli impianti sportivi molto intelligente, anche se non pienamente realizzata. Il fascismo pone il problema se costruire cattedrali nel deserto o impianti di base. La scelta cade su quest’ultima. Quando nel 1934 a Milano si svolgono i Littoriali, i campionati nazionali di atletica, la Gazzetta dello Sport promuove una campagna pressante per la costruzione di un grande stadio dell’atletica, sostenendo che Milano ha San Siro, ma non uno stadio di atletica, a differenza di Torino, Roma e Bologna. Il podestà di Milano in risposta alla Gazzetta dello Sport, sostiene che ci sono altre priorità: la costruzione di palestre e piscine.

Quello che si attua a Milano va letto in chiave nazionale?

Milano ha dato il via a tutto lo sport fascista nella costruzione del sistema sportivo, viene portata avanti una politica molto attenta, in vista del consenso di massa cui mirava il regime di Mussolini: reperire tutte le risorse possibili. Chi sono i fascisti attivi in campo sportivo? Come possono essere utilizzati? Che tipo di rete associativa si può creare per tenere tutto sotto controllo? In nessuna altra grande città italiana il fascismo fece questo lavoro preliminare, che poi venne esteso a tutto il territorio nazionale. Negli anni del consenso non c’è iniziativa della propaganda fascista che non coinvolga anche lo sport.

Ci furono risultati agonistici?

La diffusione capillare rese lo sport milanese estremamente competitivo. Si pensi alla ginnastica, al basket della Borletti e della Pro Patria, al calcio dell’Ambrosiana Inter, al ciclismo, al nuoto, non c’è sport in cui Milano non fosse all’avanguardia, sopra­ttutto negli sport di squadra. L’Amatori Rugby conseguì 17 scudetti prima di essere distrutta durante la seconda guerra mondiale, i rugbisti milanesi andarono a combattere e a morire, a differenza dei calciatori, che si imboscarono, perché i nazifascisti li volevano come intrattenitori del popolo, negli anni della fame e della guerra.

Andò tutto alla perfezione?

Dietro la maschera dell’efficienza vi furono spazi che il fascismo non riuscì a occupare completamente. Un settore critico fu quello degli operai, erano tutti iscritti al Dopolavoro, la tessera costava pochissimo in cambio di una serie di vantaggi: sconti, viaggi a prezzi popolari, i concerti alla Scala. Accedere agli impianti sportivi e svolgere regolare pratica sportiva, per molti operai divenne una scelta di comodo, strategica per ritrovarsi più facilmente e sfuggire ai controlli. Numerosi circoli del dopolavoro, altro non erano che i vecchi circoli socialisti preesistenti al fascismo, per quanto controllati, davano l’illusione di continuare a vivere negli stessi ambienti di prima. Ci sono rapporti della polizia fascista che considerano Milano una polveriera operaia, il controllo sul movimento operaio non c’è, basta una scintilla per far scoppiare tutto, infatti a Milano ci saranno i grandi scioperi operai, che daranno una forte spallata al regime.

Chi sopravvive allo sport fascista?

Lo sport cattolico, relegato negli oratori, gli viene concesso di promuovere uno sport poco agonistico e molto ludico. Conservando questo piccolo spazio di attività e un nucleo di allenatori, i cattolici furono i primi durante la seconda guerra mondiale a proporsi come alternativa allo sport fascista, gli unici che non spezzarono le loro file durante il Ventennio. Nel dopoguerra, quando rinasce il Csi, ente di promozione sportiva dell’Azione Cattoica, i cattolici recuperano una lunghissima tradizione che sono riusciti a tenere viva, un’operazione che i partiti della sinistra non riusciranno a compiere. 

Oggi nel Coni ci sono ancora i segni dello sport fascista?

Dalle origini e attraverso le diverse fasi di sviluppo il sistema sportivo italiano si colloca in uno spazio istituzionale ed ideologico apertamente reazionario, che pone a fondamenti il principio di autorità e dell’ordine gerarchico, avendo in vista l’educazione alla virilità, al senso del dovere, alla disciplina, alle audacie dei cuori gettati oltre l’ostacolo. Questi caratteri originali vivono la loro stagione più intensa nel corso degli anni Trenta del secolo scorso, nel momento in cui si pongono al servizio dell’organizzazione del consenso in un contesto di efficienza organizzativa e di coesione ideologica senza precedenti. Le larghe maglie del timidissimo processo di epurazione avviato alla fine della Liberazione, hanno consentito a gran parte dei dirigenti, dei tecnici, degli insegnanti formati nel Ventennio di prolungare la loro attività nelle federazioni del Coni, nelle associazioni, nelle scuole, portandovi le loro concezioni e le loro metodologie. Gli echi di questa sostanziale continuità sono avvertibili in modo particolare nelle Federazioni delle discipline di più antico insediamento ed in più stretta connessione con la preparazione bellica, il tiro a segno, la scherma, l’equitazione, la ginnastica, quest’ultima conserva tenacemente anacronistiche modalità di presentazione, rigide e militaresche.