Stop alla collaborazione a senso unico. Torna in patria per consultazioni l’ambasciatore italiano al Cairo, Maurizio Massari, probabilmente oggi stesso.

È stato il procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone, a dichiarare fallito il vertice con gli investigatori egiziani che avrebbe dovuto dimostrare il «cambio di marcia» auspicato dal governo italiano e promesso dallo stesso generale Abdel Fattah Al Sisi, l’«amico» di Matteo Renzi. Quella collaborazione che è mancata da parte delle autorità cairote fin dal momento della scomparsa di Giulio Regeni, non si è concretizzata nemmeno nel lungo confronto durato due giorni, all’interno della Scuola superiore di polizia di via Guido Reni, attorno ad un dossier annunciato come corposo ed esaustivo di tutte le richieste italiane ma rivelatosi l’ennesima farsa. Pignatone ha detto basta. La decisione del ministro degli Esteri Paolo Gentiloni è stata immediata: «Ho richiamato a Roma per consultazioni il nostro ambasciatore in Egitto. Vogliamo una sola cosa: la verità su Giulio Regeni».

La crisi diplomatica è aperta. La rottura è sancita dalle parole di Matteo Renzi, in conferenza stampa da Palazzo Chigi: «L’Italia ha preso un impegno con la famiglia Regeni, a nostro avviso è fondamentale la valutazione che devono fare gli inquirenti e i magistrati. ll procuratore Pignatone e i suoi collaboratori si sono espressi al termine dei colloqui con gli inquirenti egiziani e la decisione del Governo italiano è arrivata immediatamente dopo. Il richiamo dell’ambasciatore è segno del rispetto dell’impegno del governo italiano: ci fermeremo solo e soltanto davanti alla verità, quella vera».

Le prime reazioni dal Cairo – mentre il team di magistrati ed alti funzionari di polizia lasciava Roma per rientrare in Egitto, anticipando il volo previsto inizialmente per oggi – dimostrano l’incredulità di un regime che confidava nella forza degli interessi economici italiani e politico-militari europei: «Il ministero degli Affari esteri – affermava ieri sera, in un comunicato, il dicastero guidato da Sameh Shoukri – finora non è stato informato ufficialmente del richiamo del proprio ambasciatore al Cairo per consultazioni da parte dell’Italia sullo sfondo dell’omicidio di Regeni e delle ragioni di questo richiamo, tanto più che non c’è stato un comunicato sui risultati delle riunioni delle squadre d’inchiesta egiziana e italiana. Il ministero attende il rientro della delegazione degli inquirenti egiziani e attende di ascoltare le loro valutazioni sull’esito delle riunioni».

In realtà il comunicato c’è stato, ed è pure «congiunto», come era stato annunciato all’arrivo della squadra egiziana capitanata dal procuratore generale aggiunto Mostafa Soliman. Ma non è altro che un verbale di intendi: ribadita la volontà di dare corso alla giustizia, confermata da entrambe le parti che «nessuna pista investigativa è esclusa», ribadita la piena disponibilità da parte egiziana a una collaborazione che «continuerà attraverso lo scambio di atti di indagine fino a quando non sarà raggiunta la verità».

La procura di Roma però, pur mantenendo un aplomb istituzionale, mette a verbale che i magistrati egiziani «hanno riferito le circostanze attraverso le quali sono stati, recentemente, rinvenuti i documenti di Giulio Regeni e che solo al termine delle indagini sarà possibile stabilire il ruolo che la banda criminale, coinvolta nei fatti del 24 marzo 2016, abbia avuto nella morte del ragazzo italiano. La Procura di Roma ha ribadito il convincimento che non vi sono elementi del coinvolgimento diretto della banda criminale nelle torture e nella morte di Giulio Regeni».

Incredibilmente dunque, le autorità giudiziarie egiziane puntavano ancora sull’ultima falsa pista, quella accreditata direttamente dal ministro degli Interni Magdi Abdel Ghaffar, per «tranquillizzare» l’alleato italiano. Mentre non c’è traccia del dossier investigativo di duemila pagine annunciato sui media governativi del Cairo: «Sono stati consegnati alle autorità italiane – prosegue il comunicato della procura di Roma – i tabulati telefonici delle utenze egiziane in uso a due amici italiani di Giulio Regeni presenti a Il Cairo nel gennaio scorso, la relazione di sopralluogo, con allegate foto del ritrovamento del corpo di Regeni, una nota ove si riferisce che gli organizzatori della riunione sindacale tenuta a Il Cairo l’11 dicembre 2015, cui ha partecipato Giulio Regeni, hanno comunicato che non sono state effettuate registrazioni video ufficiali dell’incontro».

Nient’altro, rispetto a quanto già presentato il 14 marzo scorso durante il primo incontro con gli investigatori italiani al Cairo. Inevasa perfino la richiesta del traffico di celle reiterata da due mesi dal procuratore Pignatone e dal pm Sergio Colaiocco: «L’autorità giudiziaria egiziana ha comunicato che consegnerà i risultati al termine dei loro accertamenti che sono ancora in corso. La Procura di Roma ha insistito perché la consegna avvenga in tempi brevissimi sottolineando l’importanza di tale accertamento da compiersi con le attrezzatura all’avanguardia disponibili in Italia». Parole al vento, destinate a rimanere tali, se non accompagnate da un segno di volontà politica forte del governo italiano. Che finalmente è arrivato.