Una sentenza storica. Così i media, Medici senza frontiere e alcune associazioni in difesa dei diritti del malato hanno salutato la decisione della Corte Suprema indiana di respingere il ricorso della società svizzera Novartis contro la produzione locale del Glevic, un farmaco per la cura della leucemia, non rispettando il brevetto detenuto dall’impresa farmaceutica. Il processo era iniziato nel 2006 e ha visto impegnati su fronti avversi la Novartis, il governo indiano e alcune aziende farmaceutiche locali, come la Cipla e la Natco Pharma. La tesi della società svizzera è sempre stata incentrata sulla convinzione che i brevetti sono uno strumento necessario per ripagare gli ingenti investimenti nella ricerca e sviluppo dei farmaci. Quello che il governo indiano ha però contestato non è la legittimità dei brevetti, bensì l’alto prezzo della medicina. Il Glivec costa agli indiani 2500 dollari il mese, mentre il farmaco generico (che usa gli stessi principi base) è venduto a 200 dollari. In India ci sono 16mila persone che usano il Glivec prodotto dalla Novartis, mentre 300mila sono le donne e gli uomini che ricorrono al generico. Un giro di affari stimato in 160 milioni di euro l’anno. Per il governo, il Glivec è un classico farmaco salvavita: per questo, ha concesso la possibilità di produrlo e venderlo a costi contenuti così come è previsto dalla legislazione indiana, che considera inapplicabili i trattati internazionali del Wto sulla proprietà intellettuale firmati nel 2005 anche dall’India.
La storia del rapporto tra l’India e il Wto per quanto riguarda i brevetti è costellata di cause giudiziarie, boicottaggi e tentativi di compromesso, come quello del 2005, quando il governo di New Delhi sottoscrisse i Trips (Trade Related Intellectual Property Agreement), inserendo una clausola dove si riservava la possibilità di non rispettare i brevetti se il costo dei farmaci fosse stato «esorbitante». Da allora, molte delle imprese della cosiddetta Big Pharma sono ricorse ai tribunali perché venivano prodotti generici non rispettando i loro brevetti. È accaduto alla Pfizer per un farmaco per la cura di un tumore che colpisce i reni; alla Roche per quello contro l’epatite Pegasys e alla Bayer per il Nexavar utilizzato, ancora, nelle forme tumorali. Ogni volta i tribunali hanno dato torto alle multinazionali farmaceutiche. Di volta in volta, però, i tribunali indiani richiedevano alla Corte Suprema di pronunciarsi per sbrogliare una matassa che sembrava diventare sempre più ingarbugliata. Ieri la sentenza, che mette un punto sulla legittimità di uno stato nazionale nel non rispettare un trattato internazionale, come sono i Trips, se sono in contrasto con gli interessi nazionali.
Immediata la reazione della Novartis. Con una nota diffusa dal portavoce della filiale indiana, la società farmaceutica ha puntato l’indice contro «un ambiente ostile alla proprietà intellettuale», ipotizzando anche una riduzione della presenza produttiva della Novartis in India. Sempre nella stessa nota, sono state ribadite le linee guida della condotta giudiziaria seguita in questi ultimi sette anni: i brevetti consentono di ripagare gli ingenti investimenti nella ricerca e sviluppo di questo e di altri farmaci. Di tutt’altro tenore il commento di Medici senza frontiere, che ha invece salutato la sentenza della Corte Suprema come il riconoscimento del diritto inalienabile alla salute. Alla Borsa di New Dehli, la sentenza è stata accolta con una perdita dell’1,8 per cento delle azioni della Novartis e con un aumento del 5,6 per cento del valore delle azioni della Natco Pharma, una delle società che vende il farmaco generico.
Novartis ha 90 giorni per presentare ricorso, ma tutto lascia intravedere eccetto una ripresa delle ostilità della società farmaceutica. In questi anni, la questione dei brevetti ha visto la presa di posizione di giuristi, esponenti politici e associazioni dei diritti del malato che hanno spesso stigmatizzato il comportamento della Novartis come la difesa di una rendita di posizione sulla pelle dei malati di leucemia o di cancro. È presto per considerare come storica la sentenza della Corte Suprema, ma è indubbio il valore politico della decisione presa dai giudici indiani: il paese portato all’indipendenza da Gandhi è ormai diventato una delle potenze economiche mondiali e tratta alla pari con le multinazionali per favorire le imprese made in India.