La fanzine (letteralmente fan-magazine, rivista per un appassionato di un particolare ambito musicale o di un artista specifico) è stato uno dei principali mezzi di diffusione musicale e culturale per molti anni, sopperendo all’assenza di una stampa «ufficiale», avara, se non volutamente refrattaria, all’approfondimento di nuove istanze, il più delle volte sotterranee e dichiaratamente antagoniste a un sistema discografico o socio politico dominante. Il loro lavoro, del tutto gratuito e appassionato, era frutto della volontà di pochi appassionati, in un (lungo) periodo in cui, giova sempre ricordarlo perché talvolta sembra impossibile sia veramente esistito, internet ancora non esisteva. Niente Wikipedia, niente Google. Notizie vaghe, difficili da verificare, soprattutto se esulavano da un’informazione di «sistema» e ufficiale. La ricerca di ciò che interessava veniva (spesso molto) parzialmente soddisfatta sfogliando libri, riviste, ascoltando la radio, chiedendo direttamente ad amici, conoscenti o esperti. Ci volevano mesi per scoprire il titolo di un brano, il nome di un album, di un gruppo. Le discografie di nomi anche noti, erano il più delle volte (soprattutto in Italia) approssimative, inesatte, deficitarie.
Alla fine degli anni Settanta l’esplosione della scena punk istituzionalizzò la fanzine come principale mezzo di comunicazione nell’ambito musicale. Nonostante il formato (rigorosamente fotocopiato o, al massimo, ciclostilato) fosse stampato in un numero esiguo di copie, distribuito in modo rozzo e improvvisato, spesso a mano ai concerti, a costi bassissimi e la cui forma grafica e contenutistica era, il più delle volte, soprattutto spontanea e poco rispettosa delle regole giornalistiche. L’importante era però fare arrivare notizie il più dettagliate possibile su gruppi, dischi, personaggi, che abitualmente non avrebbero trovato posto negli organi ufficiali. Ma le prime fanzine risalgono ad almeno quarant’anni prima, negli anni Trenta, quando nell’ambito del fumetto e della science fiction, ne furono pubblicati i primi esempi. Lo Science Corrispondence Club di Chicago pubblicò per primo il periodico The Comet mentre nel 1943 iniziò le stampe Fantasy Commentator che proseguì, molto saltuariamente, fino al 2004. Dal 1955 la World Science Fiction Convention assegna, tutt’ora, il premio alla miglior fanzine del genere. Anche in Italia non mancarono esempi in tal senso come Baldo Digest, di cui uscirono otto numeri a partire dal ’49 e Futuria Fantasia, fondata dal regista Luigi Cozzi. Dal 1967 iniziò le pubblicazioni, negli Usa, una fanzine, Spockanalia, dedicata alla serie Star Trek che vedeva la partecipazione anche di alcuni degli attori protagonisti. Quando, dopo due stagioni, fu annunciata la cancellazione della serie, la fanzine raccolse oltre 160mila lettere di protesta e la produzione decise di dare un seguito a quella che diventerà una serie iconica.

FUMETTI
Anche nell’ambito dei fumetti i primi esempi di fanzine risalgono agli anni Trenta e Quaranta. Tra gli anni Cinquanta e Sessanta è interessante ricordarne una forma simile, il Samizdat (che in russo è traducibile come «edito in proprio»), che interessava l’Unione Sovietica e i paesi collegati, ovverosia testi di libri proibiti che, fotocopiati in carta carbone, venivano distribuiti clandestinamente, a cui si aggiunsero progressivamente analisi e approfondimenti antiregime (tra cui contributi di Solgenitzin, tra i tanti). Tra i più celebri fanzinari è necessario ricordare addirittura John Lennon che nella prima adolescenza (a 15 anni, nel 1955) «pubblicò» il Daily Howl, una raccolta di poesie, disegni e pensieri a beneficio dei compagni di scuola. Pagine andate perse per molti anni e recuperate, a suon di cospicui assegni, in tempi recenti da Yoko Ono. In ambito rock’n’roll la progenitura è sicuramente quella di Crawdaddy!, fondata nel 1966 da Paul Williams che arrivando proprio dall’ambiente dei comics e della science fiction decise di realizzare un corrispettivo musicale. Non a caso il nome derivava dall’omonimo locale londinese in cui esordirono i Rolling Stones. La fanzine fu l’antesignana delle riviste rock, anticipando testate come Rolling Stone e Creem e mettendo subito in chiaro il suo orientamento con un’appropriata nota nell’uscita d’esordio: «Stai leggendo il primo numero di una rivista di critica rock’n’roll. Su Crawdaddy! non troverai pin up o notiziari. La specialità di questa rivista è una scrittura intelligente sulla musica pop».
Dal giro della fiction arrivava anche Greg Shaw che poco tempo fondò Who Put the Bomp che si trasformò poi nell’iconica Bomp Records, etichetta che ha prodotto alcune gemme del garage beat (dai Barracudas alle Pandoras oltre a dischi di Stooges, Dead Boys, Stiv Bators). Sempre nel 1966 prese vita in Inghilterra IT International Times, rivista underground solo tangente al concetto di fanzine, in quanto più strutturata e affine a un giornale ufficiale.
Nell’Italia degli anni Sessanta si segnalano vari esempi di fanzine di stampo prevalentemente culturale e socio politico, lontane da relazioni con la musica. Uno dei primissimi esempi (il primo?) risale al 1962. Il celebre architetto e designer Ettore Sottsass, durante un lungo ricovero ospedaliero, per vincere la noia, con l’aiuto della compagna Fernanda Pivano, dà vita a Room East 128. Chronicle, tre fascicoli redatti in 800 copie numerate, realizzati con fotocopie, scotch, colla, materiale di fortuna trovato in ospedale, scritti e disegni fatti a mano. Sarà un assaggio di quanto uscirà, qualche anno dopo, con il titolo di Pianeta Fresco, sempre ideato dalla coppia e prodotto con notevoli mezzi economici che porteranno a una grafica del tutto innovativa con articoli stampati in colore arcobaleno, copie corredate da petali di fiori e contenuti che mischiano design, pittura, grafica, collage.
Nel 1967 è la volta di Mondo Beat, iconica pubblicazione, nata a Milano, riferimento dei movimenti ispirati alla cultura Beat e Provo e dall’impronta politica ben definita (il primo numero uscì con l’appoggio di Giuseppe Pinelli, esponente della sezione anarchica «Sacco e Vanzetti») e volutamente provocatoria, sia nei contenuti che nel lessico, tanto da subire sequestri e denunce per «oscenità». Mondo Beat (uscito in sette numeri) coagulerà intorno a sé un movimento di opinione a sfondo pacifista e di persone (ragazzi scappati da casa, sottoproletari in arrivo dal sud, intellettuali, giramondo, avventurieri) che porteranno al famoso campeggio autogestito in via Ripamonti (soprannominato con disprezzo dalla stampa ufficiale «Barbonia City») sgomberato nel giugno 1967. Da queste esperienze nasceranno una serie di altri progetti più incentrati sulla musica e la cultura, operativi nei primi anni Settanta, dai quattro numeri di Get Ready (diretta da Marcello Braghini, con disegni di Crepax e articoli, tra gli altri, di Luigi Valcarenghi) pubblicata a forma di spinello, a Freak, curato da Riccardo Bertoncelli, per 21 numeri, «mensile pop per lucide menti aperte che predica la libertà delle acide menti musicali». Senza dimenticare Insekten Sekte di Matteo Guarnaccia.

AUTOGESTIONE
La fanzine diventa mezzo peculiare e determinante nella diffusione di informazioni attinenti a un ambito ben preciso con l’esplosione del punk nel 1977. Sia la musica che la scena erano scarsamente e raramente trattati sulle riviste musicali tradizionali e spesso in modo superficiale e sbrigativo, il più delle volte con errori macroscopici e totale approssimazione (famoso l’inserimento, in Italia, dei Dire Straits in ambito punk/new wave). Da Punk a New York a Sniffin’ Glue, in Inghilterra, incominciarono a proliferare le fanzine che non davano spazio solo ai conosciuti Sex Pistols, Clash, Ramones ma raccontavano ciò che succedeva nei piccoli locali, recensivano gruppi che avevano all’attivo solo un 45 giri, intervistavano i ragazzi del pubblico, pubblicavano indirizzi e numeri di telefoni (un’epoca in cui non c’era la paranoia della privacy), di referenti per organizzare i concerti, di altre fanzine, dei musicisti. Una forma, totalmente autogestita e al di fuori da ogni controllo, di proto web che metteva in contatto, in modo capillare, tutte le persone interessate a un genere musicale, non solo localmente ma in tutto il mondo. Un aspetto importante che accomunava tutti gli autori era l’assoluta gratuità dell’impegno. Senza alcuna intenzione o prospettiva di guadagnarci un centesimo, anzi, non era insolito contemplare, già in partenza, la perdita economica. Ma era una missione (spesso puramente e genuinamente adolescenziale) informare, far conoscere nuove realtà, mettere in contatto le persone. Il tutto animato da un «codice d’onore», non scritto ma rigidissimo, che escludeva di base qualsiasi concetto di «fake news», nessuna millanteria, tutto rigorosamente corrispondente alla realtà. Chi scrive ne parla con cognizione di causa e esperienza diretta, essendo stato a lungo protagonista nell’ambito suddetto.
Come disse un membro del gruppo inglese dei Purple Hearts, Simon Stebbing, a proposito della più importante fanzine mod britannica, Maximum Speed: «Era la nostra fanzine, esclusivamente per il nostro mondo, non erano pagati per farla, e questo rendeva il tutto assolutamente interessante. Non era qualcosa di inventato su una vita di cui non facevi parte, era sul nostro mondo, cosa ci capitava, chi suonava ed era il riflesso della nostra vita». Un altro particolare importante da sottolineare è il ruolo formativo delle fanzine, palestra per futuri giornalisti, grafici, fotografi, disegnatori, in alcuni casi poi diventati famosi e di riconosciuto valore.

RICERCA
Anche a livello logistico e tecnico, quando le tirature incominciavano ad aumentare, diventava necessario pensare a come perfezionare il taglio degli articoli, rileggerli più volte per evitare errori o strafalcioni (si componeva con la macchina da scrivere su un foglio bianco e l’errore veniva cancellato con la scolorina bianca per evitare di dover riscrivere tutta la pagina), creare un’impaginazione più curata e elegante.
Recensire un concerto implicava averne anche una foto, la più chiara, ben fatta e nitida possibile per evitare, una volta fotocopiata, che diventasse una incomprensibile macchia nera. I titoli degli articoli si facevano con i cosiddetti «trasferibili». Anche la qualità della contenutistica, cercando interviste con nomi famosi, immagini inedite, scoop, diventava, con il prosieguo della pubblicazione, sempre più importante e da curare. Tanto quanto creare un archivio di foto relativo ai gruppi principali, cartelle con le informazioni sugli stessi, con eventuali cambiamenti di formazione o nuovi dischi.
In assenza di conoscenze dirette la fonte più accreditata erano i fan club dei gruppi stessi (che, anch’essi, pubblicavano mini fanzine con le novità relative alle loro attività che venivano spedite periodicamente ai fan iscritti, in genere per pochi spiccioli, corredando spesso il tutto con foto, spillette e qualche altro prezioso gadget). Per noi italiani, alla «periferia dell’impero», era il più delle volte un azzardo spedire qualche sterlina o dollaro occultati in busta, nella speranza che arrivassero a destinazione o non venissero fagocitati da qualche gestore del fan club disonesto o distratto. Ma tant’è. Inoltre era altrettanto necessario affinare le capacità grafiche e il concetto di impaginazione (quanto mai precaria dovendo lavorare con colla, forbici, foto, non di rado ritagliate da giornali e riviste o fotocopiate da libri). E infine una serie di peculiarità imprenditoriali. Ossia quantificare il numero di copie da stampare in anticipo, prezzo (quello standard per buona parte degli anni Ottanta gravitava intorno alle mille lire), possibilità di abbonamento annuale (quanto mai precario considerata la rarità di pubblicazioni periodiche. Il più delle volte, al contrario, la cadenza era del tutto casuale). Non dimenticando, quando le cose si facevano più serie, la necessità di creare una vera e propria redazione che gestisse le uscite, la contabilità (per quanto esigua e traballante), i contatti, le spedizioni, la distribuzione (prevalentemente brevi manu a concerti ed eventi nonché luoghi di ritrovo dei potenziali interessati).

EVOLUZIONE
Con il passare del tempo la forma fotocopia trovò, in alcuni casi, un’evoluzione in vera e propria stampa, quasi a diventare, esteriormente, come una rivista, pur lasciando i contenuti fedeli al concetto originario. Personalmente fui responsabile della prima fanzine mod italiana, Faces, che incominciai a fotocopiare in una trentina di copie nel 1980. Durò diciassette numeri fino ad arrivare a venderne quasi 500 a numero. Molti i personaggi famosi che si sono dedicati in gioventù alla pratica della fanzine. Da Paul Weller con la sua December Child che stampava alla fine degli anni Settanta con la sua fidanzata, a Shane McGowan, futuro cantante dei Pogues, con Bondage, a Eddie Piller che di lì a poco fonderà l’etichetta discografica Acid Jazz Records, inventando un genere e scoprendo nomi come Jamiroquai e James Taylor Quartet. Piller stampò una ventina di numeri di Extraordinary Sensations che vendevano quasi 2.500 copie a volta.
Progressivamente la fanzine perse il suo ruolo e la sua importanza informativa. Le riviste specializzate inserirono spesso molti «fanzinari» nelle loro redazioni, aprendo spazi sempre maggiori riservati anche a realtà meno conosciute, l’arrivo di internet negli anni Novanta rese obsoleto questo strumento di comunicazione, trasferendone le modalità sul web (che decretò la nascita delle cosiddette webzine). Un piccolo mondo antico, cristallizzato nel passato, irripetibile, e proprio per questo ancora più caro e prezioso.
Una menzione particolare merita Sniffin’ Glue senza alcun dubbio la sublimazione del concetto di fanzine (punk e non solo). Fu creata dal giovanissimo Mark Perry, futuro leader degli Alternative TV, band secondaria e poco considerata della scena punk ma seminale come poche altre, per attitudine, soprattutto. Folgorato dalla scoperta del primo album dei Ramones (la fanzine prende il nome da una loro canzone), nel luglio 1976 pubblica il primo numero, senza foto, solo scritti, talvolta sgrammaticati. Durò un anno circa, 12 uscite e la consapevolezza, come dichiarò Mark che «il punk era morto il giorno in cui i Clash firmarono per la major Cbs» ma che, soprattutto, il punk era arrivato a Top of the Pops, in classifica, e aveva perso così la carica eversiva originaria diventando un prodotto discografico come gli altri. Dell’ultimo numero stampò 10mila copie allegando il primo 45 della sua band e chiuse i battenti, esortando i lettori a fondare loro stessi una nuova fanzine.
Il suggello definitivo a questa mirabolante esperienza situazionista lo ricorda il co editore Danny Baker. «Tornammo da una serata al Roxy e sul tavolo c’erano 10mila fogli per ognuna delle pagine da assemblare. Ci facemmo una riga di anfetamina e passammo la notte a prendere ogni foglio da ogni pila e a pinzarli insieme. La mattina avevamo 10mila copie dell’ultimo numero di Sniffin’ Glue da distribuire».