Fang Zhaolin, una delle personalità più rappresentative della pittura cinese del Novecento, sembra sempre in movimento. La sua straordinaria capacità di spostarsi tra Asia, Europa e Stati Uniti coincide con l’attitudine a riattraversare il percorso dell’arte moderna assorbendone le novità. Nulla sfugge a questa donna dallo spirito indipendente che sa unire un forte radicamento nella tradizione con una grande apertura verso il futuro, la sensibilità culturale alla concretezza manageriale. Il romanzo della sua vita avventurosa si svolge sullo sfondo di quasi un secolo di storia. Viaggiatrice instancabile alla continua ricerca delle sue radici, si avvicina al rinnovamento della pittura conquistando una più profonda comprensione della propria cultura.

Nasce in Cina a Wuxi nella provincia di Jiangsu nel 1914. Figlia di un industriale, studia a Manchester e a Hong Kong, dove risiederà, alternando lunghi soggiorni all’estero. Rimasta vedova a soli trentasei anni con otto figli, riesce a gestire la società del marito pur continuando a occuparsi della famiglia, a studiare e a dipingere. Muore nel 2006 a novantadue anni lasciando un numero notevole di opere, di cui una sessantina sono esposte nella mostra Fang Zhaolin. Signora del Celeste Impero al Museo della Permanente di Milano fino al 10 settembre a cura di Daniel Sluse e Jean Toschi Marazzani Visconti.

Nel 1956 si iscrive alla Lady Margareth Hall dell’università di Oxford, dove studia l’antica poesia cinese. Nello stesso periodo organizza mostre a Cambridge e a Berlino. Dal 1961 si stabilisce a Londra e visita le Alpi, i Pirenei e le Highland scozzesi da cui trae ispirazione per i suoi dipinti che riprendono panorami stranieri. Uno dei suoi soggetti preferiti è Stonehenge, il monumento preistorico che sorge nello Wiltshire in Inghilterra. Nel suo viaggio nell’arte moderna, dall’impressionismo a Cézanne, dal cubismo a Kandinskij, durante il suo soggiorno americano s’incontra con l’astrattismo di Pollock, l’artista contemporaneo che sente più vicino soprattutto in quelle che sembrano «mappe» dall’alto, panorami con macchie più scure per gli agglomerati urbani, striature nere per le strade e ocra per la vegetazione. Fang Zhaolin riprende in Pittura a spruzzo la tecnica di sgocciolamento del pittore statunitense, ottenendo un sorprendente effetto naturale in cui si intrecciano linee sinuose e macchie di colore.

Paradossi
Il paradosso della pittrice è che quanto più vive lontana dal suo paese d’origine tanto più forte è la presenza della Cina continentale nella sua opera. Si inoltra nel paesaggio, si muove tra le montagne che vuole rappresentare, sente profondamente il senso di mistero di ogni luogo prima di stenderlo sulla carta. Per entrare nel suo mondo non si può dimenticare lo stretto legame che c’è nella cultura orientale tra scrittura e pittura, l’immediato passaggio da una forma all’altra con l’uso in entrambe del pennello. L’innovazione principale di Fang Zhaolin non è soltanto nelle forti contrapposizioni cromatiche, nelle figure geometriche e nelle superfici piatte, ma anche nella capacità di creare un ritmo musicale attraverso pennellate incisive e poetiche, nell’alternanza tra inchiostri leggeri e densi. La straordinaria abilità di integrare la calligrafia cinese nella pittura costituisce il paradigma della cinesità dei suoi quadri di grandi dimensioni dipinti su carta di riso.
Nei tempi lunghi della sua attività artistica la pittrice inizia con dipinti verticali di singolare semplicità che richiamano gli aspetti più esplicitamente decorativi della pittura cinese. Peonie, rose, crisantemi, orchidee, rami di pesco campeggiano su superfici bianche, con rari richiami alle rocce, alle montagne, al mare che saranno i soggetti preferiti per tutto il resto della sua produzione. La maturità è raggiunta negli anni Ottanta con una maggiore ricchezza tematica segnata dal primitivismo dove tra linee imprevedibili, leggere e pesanti, appaiono anche gli uomini nelle incombenze quotidiane. Quasi a cogliere sullo sfondo imponente della natura il sereno svolgersi della vita. Escursione in montagna, realizzato nel suo studio di New York nel 1988, ritrae un sentiero verticale con i viandanti che si arrampicano lungo la scalinata. La pittrice si serve di tratti di pennello liberi e marcati per riprodurre le rocce, le cui accidentate superfici sono sottolineate da macchie di inchiostro ocra e nero. Su piccoli spiazzi spiccano il rosso delle case e delle vesti delle persone appese in modo quasi surreale anche grazie alla assoluta assenza della prospettiva. In alto a destra pennellate di azzurro annunciano il cielo che si ammira dalle vette. In Paesaggio blu l’alta catena montuosa è riprodotta mediante figure geometriche, prive di qualunque profondità spaziale. La pittrice si serve di tratti di pennello fluenti e curvilinei per definire il contorno della montagne, di zone di blu slavato per riprodurre le rocce, la cui trama è scandita da densi grumi di inchiostro. In Paesaggio rosso la catena montuosa è rappresentata da una rossa campitura piatta, mentre sullo sfondo le montagne marroni sono sovrapposte l’una all’altra, suggerendo un senso di profondità spaziale. Scena lavorativa del 1990 è un grande dipinto orizzontale che raffigura uno scenario di montagne circondate da fiumi, dove le barche navigano spinte dal vento. La ricchezza e la vivacità del paesaggio naturale e antropologico in cui ognuno è intento a un lavoro diverso sembrano riviste attraverso la nostalgia della lontananza di una Cina preindustriale. Il giardino del pesco del 1987 privilegia i rami e i fiori del pesco mettendoli in primo piano fino a ricoprire tutta la superficie superiore del quadro in una straordinaria esplosione cromatica. Nelle minute figure umane nella parte inferiore del dipinto si conferma il rispetto della natura di cui si considerano un elemento accanto agli altri come insegna il buddismo. Nel grande tazebao del 1987 lungo più di due metri, gli ideogrammi non inneggiano alla rivoluzione come ai tempi di Mao, ma sono un inno all’arte e alla cultura.

Evoluzione
In Migliaia di montagne e fiumi del 1985 e Uscita di primavera di dieci anni più tardi si avverte l’evoluzione di Fang Zhaolin. Nel primo nonostante la presenza incombente delle montagne a picco sull’acqua, uno dei motivi ricorrenti nella sua pittura, prevale un senso di armonia, di ottimistica visione delle vicende umane come viste da un occhio fanciullo, scandite però da macchie scure che sottolineano i costoni delle rocce, incubi che sovrastano l’illusoria serenità del cielo. Nel secondo coglie il senso della rinascita che rinnova il mito della primavera con gli alberi scossi dal vento, che però non arriva a sconvolgere le vele delle imbarcazioni dei gitanti. Viene in mente Argenteuil, una delle mete predilette degli impressionisti. È in quadri come questo che si capisce come sia riuscita a coniugare la tradizione del suo paese con la sensibilità tipicamente occidentale della pittura moderna. Nei dipinti della serie Caverne colloca una caverna al centro dell’immagine con figure umane e oggetti quotidiani sullo stesso piano. Le rocce che circondano la caverna sono rappresentate con forme geometriche irregolari, mentre i contorni sono tracciati con spessi tratti di inchiostro mescolati a ideogrammi. La struttura delle rocce è essenziale e semplificata, ma la trama è arricchita da forti pennellate di inchiostro a secco. Il colore scuro, terroso sottolinea il suo radicamento alla terra nella quale cerca rifugio e pace dal lungo errare. Nella parte superiore della caverna ha inserito i caratteri «An» e «Ning» per esprimere la sua speranza di tranquillità dopo anni di nomadismo. Il senso di determinazione che attraversa la vita di Fang Zhaolin, tenace e combattiva quanto aperta agli incontri e alle contaminazioni, nelle sue opere si ritrova nei segni decisi con cui sono rappresentate le montagne che affiorano con prepotenza nella rasserenante liquidità dell’acqua dei fiumi e del mare, a cui affida la misteriosa presenza del femminile.