Roberto Rustioni da anni ha scelto la nuova drammaturgia mondiale, offrendo ogni volta sorprese cospicue: da uno Spregelburd ancora non illuminato da Ronconi, fino al catalano Jordi Casanovas, il cui Idiota l’artista dirige e interpreta (ancora oggi e domani al’India di Roma). Solo come regista invece ha portato all’Angelo Mai Daniel Veronese, uno dei padri dell’esplosione teatrale di Buenos Aires .

Oggi è soprattutto  autore di racconti teatrali, che come Donne che sognarono cavalli hanno il pregio seduttivo di parlare allo spettatore in modo, e di argomenti, a lui molto vicini, ma di cui sente il pericoloso affacciarsi sul precipizio. Come capita a questa famiglia protagonista, tre fratelli con rispettive mogli, che girano tra delusioni reciproche, rassegnazione, rifugio nell’alcol, ostinati a rimanere insieme e perpetuando gli eterni confronti infantili. Anche perché Veronese lascia capire che i diversi episodi narrati (5 in tutto) non siano in un rigoroso ordine temporale. E intrigarsi e districarsi in quel puzzle, diviene godibile fonte di teatro buono e utile.