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Famiglia, futuro e missili. La propaganda ora va in tv

Famiglia, futuro e missili. La propaganda ora va in tv

Corea del Nord Un saggio della reporter Jean Lee esplora le produzioni televisive che rivoluzionano la narrativa del regime sotto Kim Jong-un

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 27 febbraio 2018

Come nell’italiana Un posto al sole, il cuore della storia è un condominio – non a Napoli, ma nella capitale nordcoreana Pyongyang. Nella sitcom televisiva in due episodi Our Neighbors, del 2013, protagoniste sono le famiglie che abitano nei palazzi «di lusso» di Changjon Street, il primo grande progetto urbanistico portato a termine sotto la leadership di Kim Jong-un. Il lusso, in un paese dove spesso – anche nella capitale – mancano l’elettricità e l’acqua corrente, è rappresentato in primo luogo dalla presenza dell’ascensore, vanto tecnologico e vero e proprio protagonista dello sceneggiato televisivo. «In Our Neighbors, l’ascensore diventa il nuovo cortile, il luogo di ritrovo per gli abitanti del palazzo». Lo scrive Jean Lee, la prima reporter americana a cui è stato consentito l’accesso a Pyongyang, dove ha fondato l’ufficio dell’Associated Press. Lo scorso novembre, Lee ha pubblicato un saggio che analizza le fiction televisive trasmesse nel Paese: Soap Opera and Socialism: Dissecting Kim Jong Un’s Evolving Policy Priorities through Tv Dramas in North Korea.

«Our Neighbors», ci dice Lee, ci porta in un ambiente che raramente si era visto prima: nell’intimità domestica dei norcoreani, o almeno di quelle elite a cui è consentito vivere nella capitale, ripresa per giunta on location con piccole videocamere invece che in studio, creando così un ulteriore senso di vicinanza. Insieme, i protagonisti della sitcom affrontano le avversità, fanno di buon grado le scale a piedi un giorno in cui manca la corrente, tramano per far fidanzare l’ascensorista con il nuovo inquilino , un autista di camion. E si affrettano per tornare a casa, davanti alla tv, per assistere alla prova di lancio di un missile a lungo raggio: il successo dell’operazione viene celebrata dagli inquilini – che ballano gioiosamente tutti insieme.

Che cosa ci svela tutto questo dei cambiamenti in corso nella Corea del Nord in materia di propaganda?
«Gli alti ufficiali del governo direbbero così: Kim Jong-il è come il sole. Troppo distante e ti congeli, troppo vicino e vai a fuoco». Lo diceva alle telecamere di Robert Cannan e Ross Adams – registi di The Lovers and the Despot – un disertore della Corea del Nord, Jang Jin-sun. Questo culto del leader, una figura semidivina, è ancora intrinseco alla propaganda nordcoreana sotto Kim Jong-un, come è evidente dalle immagini celebrative che ci arrivano dal Paese asiatico o come testimoniano i pochi documentari di registi stranieri a cui, sotto stretta sorveglianza, è stato concesso di girare in Corea del Nord. E lo attestano largamente anche i film girati nella RPDC, specialmente sotto la dittatura di Kim Jong-il, la cui cinefilia era ben nota: The Lovers and the Despot racconta proprio il rapimento voluto da Kim del regista sudcoreano Shin Sang-ok e della sua ex moglie, l’attrice Choi Eun-hee, affinché girassero film per la Corea del Nord. «Mostriamo all’Occidente di cosa siamo capaci», dice a Shin in una registrazione fatta di nascosto dal regista. L’ambizione di Kim era infatti dotare il Paese di un cinema che facesse concorrenza non solo alla rivale Corea del Sud ma all’intero occidente, vincendo premi e riconoscimenti ai più importanti festival del mondo e contemporaneamente propugnando l’ideologia fondamentale nordcoreana, incentrata largamente sulla devozione del popolo non solo al «caro leader» ma a tutta la casta militare.

Alla morte di Kim nel 2011, a succedergli è stato il figlio appena ventiseienne Kim Jong-un: la sua figura è ancora trattata come quella di un semidio, ma sotto il suo controllo la propaganda rivolta verso l’interno del paese ha subito un profondo mutamento – indicativo dei cambiamenti che il giovane dittatore ha impresso alla politica nordcoreana molto più delle aperte schermaglie con il presidente Donald Trump.

A emergere dallo studio di Jean Lee è soprattutto una cosa: adeguandosi ai tempi e al suo gusto personale di «millennial» che si rivolge ai cittadini più giovani, Kim ha spostato il piano d’interesse dal cinema alla tv. Ma un cambiamento ancora più radicale avviene a livello dei contenuti: «Sotto Kim Jong-il, ai nordcoreani veniva detto di mettere Kim e lo Stato prima delle loro famiglie; oggi i giovani nordcoreani imparano attraverso le fiction a onorare la famiglia e a ingegnarsi per trovare un modo di contribuire alla costruzione di una società più forte, un futuro migliore – di cui fanno parte razzi e missili».

Fondamentale è infatti anche l’importanza data alla tecnologia, a cui pure i nordcoreani hanno scarsissimo accesso. Il film tv Young Researchers, del 2013, ambientato in un liceo elitario di Pyongyang fa grande sfoggio – racconta ancora Lee – di computer, telescopi, registratori e ogni genere di apparecchi tecnologici impiegati dai giovani protagonisti, gli studenti migliori della scuola.

Lo scopo è fantascientifico, ma serve a creare un nesso fra la tradizione e il progresso: estrarre le voci dei martiri nordcoreani dalle grotte in cui si erano nascosti durante la guerra. Value Others, un altro breve film tv andato in onda nel 2016, racconta invece il viaggio attraverso il paese di un giovane ufficiale della Marina – Tong-u – per restituire una torcia che gli era stata prestata da un pescatore in una notte di pioggia. Tong-u riceve aiuto da tutte le persone che incontra sul suo cammino all’interno di una storia che pone più di tutte l’accento sull’unità e sulla solidarietà, specialmente tra familiari. Un tema dietro al quale si nasconde anche l’intento di far fronte alle diserzioni, in fortissimo aumento, appellandosi all’importanza dei legami di sangue. Tutti questi personaggi, nota Lee, sono diversi rispetto al passato: «Giovani, brillanti, intelligenti, leali e qualche volta maliziosi – versioni innocue del leader stesso. Mentre la propaganda di Kim Jong-il rappresentava gli abitanti della Corea del Nord come orfani che consideravano Kim un padre putativo, Kim Jong Un è rappresentato come loro amico e compagno».

Il personaggio che più gli «somiglia» è Son-hyang, l’ex campionessa di calcio protagonista della miniserie Small Playground of a Primary School (2014), che dopo un infortunio torna nel suo paese natale a fare l’allenatrice. Talentuosa e brillante, ma anche giovane e inesperta, Son-hyang – proprio come Kim – dovrà scontrarsi con la vecchia guardia per trovare la sua strada.

Siamo insomma nell’ambito di una nuova forma di costruzione del consenso interno, che si lascia alle spalle non solo il sogno cinephile di Kim Jong-il ma anche, in un certo senso, buona parte della nozione novecentesca di propaganda. Nelle serie tv nordcoreane lo stesso culto del leader si fa più astuto e raffinato, costruito su personaggi simili a Kim in cui immedesimarsi e da imitare, invece delle vecchie divinità paterne e austere.

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