Lion – La strada verso casa del regista esordiente australiano Garth Davis (all’attivo qualche direzione televisiva tra cui alcune puntate della serie Top of the Lake, ideata da Jane Campion) è uno di quei film col marchio della «storia vera». E questo per alcuni autori implacabili nel cercare biografie, sembra già sufficiente per convincere lo spettatore a entrare nella sala dove, appunto, si mette in scena il «realmente accaduto». Presentato alla Festa del Cinema di Roma, Lion racconta le incredibili vicende di Saroo, un bambino indiano di cinque anni originario di Madras che per sbaglio si trova su un treno che lo porta contro la sua volontà a Calcutta. Una città a migliaia di chilometri di distanza dalla modesta dimora dove abitano la madre, il fratello più grande e la sorella più piccola. Una metropoli dove si parla una lingua diversa e nella quale il piccolo Saroo non è in grado di ritrovare l’orientamento per tornare dai suoi.

Così accade, tra mille peripezie racchiuse in un arco temporale molto breve rispetto alla lunghezza del film, che il bambino venga fortunatamente adottato da John e Sue Brierley, una coppia australiana interpretata da David Wenham e Nicole Kidman, visibilmente truccati da giovani quando sono alle prese con i due figli appena adottati (a Saroo si aggiunge un altro bambino molto più problematico), e poi riportati alla loro età quando li ritroviamo quindici anni dopo con Saroo che intanto ha preso le sembianze della star Dev Patel (The Millionaire).

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Proprio nel momento in cui Saroo sembra essersi integrato nel ruolo del giovane universitario australiano, un lontano ricordo (una vera e propria madeleine) lo richiama all’origine. Qui termina il film che assomiglia all’iraniano Bashu, il piccolo straniero (1989) e ne inizia un altro. Quello in cui con Google Earth, il protagonista cerca disperatamente la sua famiglia naturale.

Costruito per un pubblico in cerca di buoni sentimenti, Lion ha già conquistato quattro nomination ai Golden Globe, tra cui quella per il migliore film drammatico. Evidentemente le storie vere, al contrario di quelle immaginate, esercitano un fascino al quale non si può opporre resistenza anche quando non sono altro che una somma di fatti legati da una retorica che livella ogni asperità della vita.