Luis Salas Rodríguez è direttore del Centro studi di economia politica dell’Università bolivariana del Venezuela, apprezzato per le sue analisi e i suoi studi a livello internazionale anche all’interno del Celag, il Centro Estrategico Latinoamericano de Geopolitica. Con lui abbiamo discusso della situazione politica in Venezuela nel quadro latinoamericano, a ridosso della visita in Italia del presidente Nicolas Maduro, per ricevere un premio dalla Fao.

Professore, il Venezuela è sull’orlo di un collasso economico e a rischio di guerra civile?
Bisogna guardare in faccia il problema: è in corso una guerra economica, diretta dai poteri nazionali e transnazionali che cercano di farla finita con il progetto di cambiamento in corso. Imponendo di fatto un blocco economico, vogliono ottenere una resa per fame, e minare il morale della popolazione. Non è una tattica nuova, ma costante negli ultimi 16 anni. La differenza, oggi, è nell’intensità e nella durata.

Secondo la Fao, il paese è tutt’altro che affamato, però i problemi ci sono.
Le ragioni si situano in parte nella fase di transizione che sta attraversando il chavismo dopo la morte del presidente Chavez. Quando Chavez è scomparso, il governo si apprestava a mettere in pratica quello che il Comandante aveva sintetizzato nel “Golpe de timon”, una sterzata che avrebbe spinto in avanti le riforme: verso il controllo del commercio speculativo e verso la democratizzazione dell’apparato produttivo che è ancora troppo monopolizzato, cartellizzato e pilotato a livello transnazionale. Chavez lo aveva annunciato qualche giorno prima di recarsi a Cuba per un nuovo ciclo di terapia contro il cancro che poi se lo è portato via. Di fronte a una simile prospettiva, la destra economica dentro e fuori il paese, ha reagito. La forte spinta per il ritorno al dollaro si inquadra in questa strategia. Si tratta, per così dire, del fronte esterno della guerra economica unito alla speculazione per la caduta del prezzo del petrolio.

Alcune aree all’interno del chavismo sono però fortemente critiche verso la politica del governo. Ora Marea Socialista cerca di capitalizzare lo scontento e si presenta da sola alle prossime parlamentari. Che sta succedendo?
E’ difficile dare un giudizio secco su Marea Socialista. In parte rappresenta un risultato non desiderato ma prevedibile data l’eterogenea conformazione del chavismo. Ma credo sia anche la conseguenza di un cambiamento generazionale nella direzione del processo rivoluzionario, e un coacervo di velleità narcisistiche non risolte. Marea è un sacco pieno di gatti, nel senso che oltre a essere una formazione eterogenea risponde a un’amalgama di interessi e visioni la cui unica ragione sembra quella di opporsi alla leadership del presidente Maduro. A questo fine strumentalizza problemi che sono indubbiamente importanti. Tutti siamo d’accordo a combattere la corruzione che si annida negli organismi dello stato, pensiamo tutti che debba esserci più dibattito in determinate aree. Però questo è una cosa, l’altra è piantare una tenda a parte in un momento complesso come quello attuale. Come minimo è mancanza di chiarezza…
Il chavismo ha scompaginato l’arco dei partiti tradizionali esistenti durante la IV Repubblica, riconfigurando in base al “socialismo bolivariano” le tradizionali categorie di destra e sinistra. Come stanno le cose adesso?

Una fetta della sinistra interna accusa Maduro di perseguire un progetto socialdemocratico.
Il chavismo ha proposto una piattaforma ampia e uno spazio che ha reso possibile il ritorno della politica dopo l’epoca oscura dell’antipolitica. Dentro, ha peròsempre predominato la sinistra nelle sue differenti sfumature. Lo stesso Chavez si definiva socialista e ha impresso questo carattere alla rivoluzione bolivariana, anche se non si è mai dichiarato marxista-leninista. Questo gli è valso la critica dei settori più ortodossi, che lo hanno accusato di essere un piccolo borghese romantico o peggio un demagogo. Tuttavia, nessuno di questi critici ha fatto così tanto per la sinistra e per la rivitalizzazione dell’ideale socialista come Chavez. Accusare Maduro di essere socialdemocratico mi pare un’altra sciocchezza. Vi sono di certo cose su cui si può dissentire o pensare che debbano essere accelerate, com’è successo con Chavez. Può essere che il suo profilo non corrisponda a quel che secondo alcuni dovrebbe essere quello del perfetto marxista-leninista, ma non è certo un borghese, non solo perché è di origine operaia, ma perché dal movimento operaio trae la sua visione del mondo e risponde alla classe a cui appartiene. Come dicevo prima, il chavismo attraversa una crisi di crescita e un ricambio generazionale, nei quadri dirigenti e nei militanti, e questo sarà reso più visibile dalle prossime primarie che prevedono almeno la metà di candidati donne e giovani. Questo ricambio implica un maggior livello di maturità e trasversalità. Il chavismo sta adattando il discorso alle nuove realtà e alle domande. E nessuna è più urgente di quella economica. Più passa il tempo, più i danni e le sofferenze aumentano.

Alcuni politici delle destre, detenuti, sono in sciopero della fame. Maduro è un dittatore che viola i diritti umani e che non deve ricevere il premio Fao come chiede una petizione?
La destra cerca di manipolare il malessere della popolazione che non ha potuto capitalizzare fino ad ora, come si è visto anche dalla scarsa partecipazione alle primarie interne. In materia di diritti umani, il Venezuela non sta peggio dei paesi i cui governi l’accusano di violarli, ma anzi può dare lezioni. C’è chi individua piuttosto un problema di lassismo, non di restrizioni. A proposito di diritti: da noi è impensabile buttare fuori casa qualcuno che non può pagare l’affitto o il mutuo. E la Fao, un organismo internazionale che non può certo essere considerato “socialista” ha riconosciuto che il Venezuela, nell’ultima decade, è il paese che più ha fatto sul piano del diritto all’alimentazione e contro la povertà. Quanto a Leopoldo Lopez e altri detenuti si tratta di individui che sono andati in carcere per violenza, terrorismo, insurrezione armata e anche omicidi, non esattamente per reati di opinione, ma per delitti che vengono puniti in ogni parte del mondo. Nessuno è in carcere per quel che pensa o dice. Tutti godono dei diritti processuali e umani, nessuno viene torturato. Se guardiamo a quel che passa negli Stati uniti, in Colombia o in Messico, si capisce di cosa stiamo parlando. Prendiamo il caso del Messico: 43 studenti detenuti dalle forze armate e consegnati ai narcotrafficanti perché fossero torturati e fatti scomparire. Se questo fosse successo in Venezuela ci avrebbero invaso il giorno dopo in nome della democrazia e dei diritti umani. Invece, siccome si tratta di un socio degli Stati uniti, tutti si voltano dall’altra parte.

Che fase sta attraversando l’America latina? A Panama, il Vertice delle Americhe si è stretto intorno a Cuba e Venezuela, ma dietro le quinte non tutto quadra. La socialista Isabel Allende, figlia del presidente rovesciato da Pinochet appoggia la causa dei golpisti venezuelani…
Come ha detto il presidente dell’Ecuador, Rafael Correa, in America latina è in corso una campagna restauratrice: che si esprime sul piano politico, come indica il ritorno in campo di ex presidenti neoliberisti in tutto il continente, e anche sul piano economico. D’altra parte, il continente soffre le conseguenze della recessione mondiale, e anche quelle di non aver approfondito il cambiamento fino a ridurre la dipendenza e la vulnerabilità, come per esempio si sarebbe potuto fare puntando di più sulla ricerca di una nuova architettura finanziaria. Politicamente, il continente ha guadagnato dieci anni e un cambiamento epocale che lascia intravvedere l’orizzonte del post-capitalismo. Quel che manca è una ulteriore spinta ad avanzare in questa direzione, e mentre questo non si dà, si corre il rischio di retrocedere. Le destre lo sanno e cercano di approfittarne.