Attesa da mesi, la proposta del governo sul reato di falso in bilancio è arrivata in commissione giustizia al senato proprio nel giorno in cui è esploso lo scandalo sui lavori Tav. Ed è stato il viceministro della giustizia Enrico Costa – del Nuovo centrodestra come il ministro dei trasporti nella bufera. Maurizio Lupi – a presentarsi dai senatori con l’emendamento faticosamente messo assieme nei vertici di maggioranza. Ma l’assenza dei senatori Pd ha fatto mancare il numero legale e rinviare la seduta. Il primo effetto della mossa dell’esecutivo è lo slittamento dell’approdo in aula del disegno di legge anticorruzione. Se ne parlerà, forse, la prossima settimana.
Il rinvio non ha frenato il presidente del Consiglio. «Contro corruzione proposte governo: pene aumentate e prescrizione raddoppiata. E l’Autorità oggi è Legge con pres. Cantone» ha scritto in un tweet. Sorvolando sul fatto che il raddoppio della prescrizione – altra legge, alla camera – è lontano dall’essere accettato dagli alleati Alfaniani e dunque tutto da vedere. Quanto all’aumento delle pene, è vero solo in parte.

L’attesa novità contenuta nell’emendamento del governo è il ripristino della procedibilità d’ufficio per il reato di falso in bilancio. È quanto era previsto prima della sostanziale depenalizzazione del governo Berlusconi-Tremonti, che aveva fatto del falso in bilancio un reato «di danno» perseguibile solo a querela di parte. Adesso torna un reato di «pericolo», considerato cioè da perseguire nell’interesse della collettività. La proposta avanzata ieri dal governo è quella di distinguere tra società quotate in borsa e società non quotate. Per le prime – nel caso che consapevolmente si omettano fatti materiali o li si apposti in bilancio in maniera non corrispondente al vero – si rischia una pena da 3 a 8 anni di carcere. Per le seconde invece la pena scenda da 1 a 5 anni. Resta cioè sotto la soglia minima perché sia possibile utilizzare le intercettazioni telefoniche e ambientali durante le indagini. Non solo: il reato resta qualificato come di «danno», e cioè perseguibile solo in caso di querela per le piccole società, cioè le non quotate che hanno un giro di affari inferiore alla soglia prevista per la fallibilità (300mila euro l’anno). Nel testo del governo è inoltre prevista un’ipotesi di «non punibilità» per particolare tenuità del fatto, con l’indicazione per il giudice di valutare «in modo prevalente, l’entità dell’eventuale danno provocato alla società ai soci o ai creditori». Infine le sanzioni pecuniarie: per le società quotate la sanzione andrà dal valore di 400 fino a 600 quote, per quelle non quotate da 200 a 400 (e in caso di fatti di lieve entità da 100 a 200).

«È stato un parto molto lungo, ma siamo alla fine su falso in bilancio, anticorruzione e prescrizione», ha detto ieri sera in tv il sottosegretario Delrio, ammettendo che «il percorso poteva essere più breve». Il presidente del senato Grasso, primo firmatario del disegno di legge originario sulla corruzione, ha commentato con un «Alleluja» la notizia. Commento che non è piaciuto al presidente della commissione giustizia, il berlusconiano Nitto Palma, che ha fissato a domani pomeriggio il termine per i subemendamenti al testo del governo. Forza Italia ha annunciato di interrompere l’ostruzionismo. Mentre il Movimento 5 Stelle ha definito l’emendamento del governo «un pannicello caldo».