Fallujah non trova pace: da anni epicentro del conflitto globale che si combatte in Iraq, ha resistito all’occupazione statunitense e cercato di fare altrettanto con le imposizioni politiche di Washington e della nuova Baghdad. Oggi è ancora teatro bellico perché è la porta di accesso a Ramadi e alla provincia di Anbar.

Nessuno può permettersi di perdere Fallujah, né lo Stato Islamico né il governo centrale. Per il premier al-Abadi la riconquista dell’Anbar è alla base di qualsivoglia piano futuro: senza la provincia più instabile e centrale del paese (confinante con Arabia saudita, Giordania e Siria), è pretenzioso immaginare di poter vincere la macchina da guerra islamista.

Tanto fondamentale per Baghdad da accettare e indirettamente promuovere la partecipazione delle milizie tribali sunnite richieste dagli Stati Uniti: Obama ha portato a 3.500 i consiglieri militari nella locale base di Habbaniyah per addestrare e armare i sunniti contro l’Isis, per poi lamentare un numero troppo basso di volontari.

Per ora a combattere sono soprattutto gli sciiti: alla controffensiva dei volontari delle Hashed al-Shabi e delle truppe governative gli islamisti rispondono negli scontri di terra ma anche, con viltà, con i kamikaze. Ieri due auto e gli uomini alla guida, imbottiti di esplosivo, hanno ucciso 22 persone tra soldati e miliziani sciiti a est di Fallujah. Non erano due auto qualsiasi, ma due veicoli blindati Humvee di fabbricazione Usa, confiscati in precedenti raid in basi militari irachene.

L’attacco giunge nel mezzo della più ampia operazione per la ripresa della provincia sunnita di Anbar, varata lo scorso 13 luglio: le truppe di Baghdad cercano di tagliare definitivamente le vie di rifornimento usate dall’Isis per trasportare uomini e armi verso Ramadi, il capoluogo, e Fallujah. Villaggi occupati, cittadine circondate: così il governo spera di isolare del tutto i due centri.

Per piegare l’Isis il primo ministro al-Abadi ha spedito anche l’aviazione che bombarda Fallujah da giorni: ieri 17 miliziani sono morti dopo un raid contro una moschea. Accanto a quei 17 combattenti hanno perso la vita, però, anche 7 civili. Morti che non aiutano di certo la causa anti-settaria promossa da Baghdad: buona parte della popolazione di Anbar teme lo stesso destino di quella di Tikrit, liberata dall’Isis grazie al sostegno fondamentale delle milizie sciite e oggi modello negativo di repressione interna.

Ma Fallujah non è Tikrit: è più strategica. Per questo la caduta di Ramadi lo scorso maggio in mano all’Isis e l’occupazione di buona parte dell’Anbar potrebbe essere utilizzata dalle comunità sunnite per ottenere da Baghdad armi e quindi potere.

In Siria Assad e Usa contro lo stesso nemico

Forze sciite nel mirino anche nella vicina Siria: secondo le Nazioni Unite, la battaglia in corso a Zabadani (città al confine con il Libano, lungo l’autostrada Beirut-Damasco) tra le forze di Assad e i qaedisti di al-Nusra ha provocato una distruzione e un numero di morti senza precedenti. Dito puntato sul presidente siriano, accusato dall’inviato Onu per la Siria, Staffan de Mistura, di aver sganciato le famigerate bombe barile contro la città.

Certo è che l’asse sciita ha allargato martedì il proprio controllo sulla città di Zabadani e sui villaggi vicini. Le poche sacche di islamisti ancora nel centro città sono state costrette alla resa, fa sapere al-Manar Tv, l’emittente legata al movimento sciita libanese. Liberate anche una serie di comunità nella vicina regione di Qalamoun.

E mentre Damasco combatte al Qaeda a ovest del paese, a nord è la coalizione anti-Isis guidata dagli Usa a colpire, a dimostrazione che il nemico è lo stesso: il Pentagono, in un comunicato, ha rivelato che due settimane fa in un raid aereo sarebbe stato ucciso Muhsin al-Fadhli, noto leader di al Qaeda su cui pendeva una taglia da 7 milioni di dollari.

Sarebbe stato il responsabile del cosiddetto Gruppo Khorasan formato da una cinquantina miliziani di lungo corso, provenienti da Afghanistan e Pakistan. Un’unità che secondo molti non esiste (né in arabo esisterebbe il suo nome), ma è una creazione degli Stati uniti secondo i quali il gruppo è responsabile di ordire attacchi contro l’Occidente.

Non esiste nemmeno per il leader di al-Nusra, il braccio siriano di al Qaeda, Abu Muhammad al Jolani. Lo ha detto nella nota intervista ad Al Jazeera dello scorso maggio: «Non esiste nulla chiamato Gruppo Khorasan. Lo hanno inventato gli americani per colpire al-Nusra».